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RIFORMA CARTABIA E PENE SOSTITUTIVE


Riforma processo penale: le nuove sanzioni sostitutive



La parte della riforma del diritto e del processo penale dedicata alle sanzioni, oggi pene, sostitutive di pene detentive brevi, esprime pienamente la volontà del legislatore di ampliare i trattamenti penali non carcerari sia in quanto finalizzati ad effettiva rieducazione e reinserimento sociale sia in quanto misure meno incisive sulla libertà personale. Novità sono previste sia sul piano sostanziale, quanto alla tipologia e ai presupposti di applicabilità delle misure, sia sul piano processuale quanto a procedimento, tempi di attivazione, revoca e sostituzione in caso di inadempimento. Chiara è la scelta di incentivare il ricorso alla sostituzione delle pene detentive brevi come strumento special preventivo e di reinserimento sociale anche in casi applicativi prima sottratti a questi strumenti ed oggi invece sottratti alla concorrenza della più attrattiva sospensione condizionale della pena (D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 – G.U. 17 ottobre 2022, n. 243, suppl. ord. n. 38/L). La cd. Riforma Cartabia del processo penale, con l’art. 1, comma 17 della L. 27 settembre 2021 n. 134, entrata in vigore il 19 ottobre 2021, e con il D.Lgs. 10 ottobre 2022 n. 150, attuativo dei principi in essa enunciati, ha ridisegnato anche il quadro generale delle cd. sanzioni sostitutive di pene detentive brevi introdotto e regolamentato sino ad oggi dalla L. n. 689/81. L'introduzione di questo tipo di pene fu, come noto, dettata dall'intento di deflazionare la carcerazione breve, ritenuta inefficace, desocializzante e persino criminogena, a fronte di pene non particolarmente importanti inflitte in sentenza, e sostituirle invece con una risposta sanzionatoria che, accanto alla portata special preventiva, avesse anche un intrinseco effetto risocializzante e riparativo in generale. Il nuovo art. 20-bis c.p. segna il formale ingresso nel Codice penale non solo della categoria ‘pene sostitutive’ (in precedenza presente nella sola L. n. 689/1981), ma anche della categoria ‘pene detentive brevi’. La recente riforma persegue diversi obiettivi: da un lato ampliare il ricorso a queste sanzioni, ora definite formalmente “pene” sostitutive (con ciò riconoscendone finalmente in toto la natura e la tipologia afflittiva) e dall’altro risolvere una serie di empasse tecnico processuali che fino ad oggi rendevano poco efficace il ricorso alla sostituzione delle pene detentive brevi. Sotto il primo profilo, infatti, la riforma estende da 2 a 4 anni il tetto di pena delle pene a vario titolo sostituibili; sotto il secondo profilo esclude la sospendibilità delle sanzioni sostitutive (lett. H comma 17 art. 1) che di fatto finora inficiava, come la maggior parte della dottrina sottolineava, proprio quella efficacia specialpreventiva insita nel sistema della sostituzione e rendeva di fatto semplicemente inapplicate le pene detentive brevi. Altro segno dell’impronta realistico pragmatica che si è tentato di dare alla recente riforma è l’eliminazione delle due sanzioni sostitutive sinora esistenti ma sostanzialmente desuete nella prassi: la semidetenzione e la libertà controllata. Rimangono, quindi, la semilibertà, la detenzione domiciliare, il lavoro di pubblica utilità e, rivisitata, la pena pecuniaria, descritte e normate all’art. 71, comma 1, lettere a e ss., D.Lgs. n. 150/2022. Vi è sicuramente un ampio margine residuo di sovrapposizione tra le nuove pene sostitutive e le persistenti misure alternative alla detenzione regolamentate tuttora dalla legge sull’ordinamento penitenziario (L. n. 354/1975 e successive modifiche). Differenza fondamentale residua è quella per cui le pene sostitutive diventano applicabili direttamente dal giudice della cognizione in sede di pronuncia della sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti (nonché in fase di decreto penale di condanna) mentre alle misure alternative alla detenzione può accedersi solo in fase esecutiva a seguito della sospensione dell’esecuzione della sentenza di condanna a pena detentiva, cosicchè solo in fase esecutiva sarà possibile accedere alla misura, decisamente più favorevole in quanto non paracarceraria e più rispondente alla ratio del finalismo rieducativo della pena, dell’affidamento in prova al servizio sociale. Le quattro pene sostitutive regolamentate dalla riforma Cartabia dunque sono la semilibertà, la detenzione domiciliare, il lavoro di pubblica utilità e la pena pecuniaria, tutte affiancate dall’aggettivo “sostitutivo” fin dal titolo delle disposizioni ad esse dedicate. I limiti oggettivi parametrati alla pena edittale comminabile dal giudice sono, come detto, più elevati della normativa precedente con ciò rendendo esplicito l’intento di ampliarne il più possibile l’applicazione: il giudice, nel pronunciare sentenza di condanna o di applicazione pena ex art. 444 c.p.p., quando ritiene di determinare la durata della pena detentiva entro il limite di quattro anni, può sostituire tale pena con quella della semilibertà o della detenzione domiciliare; quando ritiene di doverla determinare entro il limite di tre anni, può sostituirla anche con il lavoro di pubblica utilità; quando ritiene di doverla determinare entro il limite di un anno, può sostituirla altresì con la pena pecuniaria della specie corrispondente, determinata ai sensi dell’articolo 56-quater. Semilibertà La semilibertà sostitutiva presenta delle caratteristiche strutturali volutamente diverse da quelle tipiche dell’omologa misura alternativa disciplinata dagli artt. 48 e ss. dell’ordinamento penitenziario: tendenzialmente, infatti, viene ribaltato il rapporto tra tempo che deve essere trascorso in istituto (in apposito istituto o apposita sezione di istituto ordinario) e il tempo di permanenza all’esterno. Secondo il disposto dell’art. 48, comma 1 o.p., infatti, “il regime di semilibertà consiste nella concessione al condannato … di trascorrere parte del giorno fuori dall’istituto per partecipare ad attività … utili al reinserimento sociale”; in altri termini, sia pure in mancanza di indicazioni puntuali sulle due componenti della giornata del semilibero, la presenza in istituto rappresenta la regola e il tempo trascorso all’esterno l’eccezione. Nella nuova semilibertà sostitutiva, invece, è fissato un numero minimo di ore (almeno otto ore al giorno) da trascorrere in istituto consentendo dunque che le rimanenti (anche sedici) ore del giorno siano trascorse all’esterno dando però una indicazione precisa sul loro impiego: “attività di lavoro, di studio, di formazione professionale o comunque utili alla rieducazione ed a reinserimento sociale” secondo un programma di trattamento approvato dal giudice e predisposto dall’ufficio di esecuzione penale esterna che avrà anche il compito di vigilare ed assistere il condannato in semilibertà. Detenzione domiciliare sostitutiva Evidenti le differenze anche tra la nuova detenzione domiciliare sostitutiva e la detenzione domiciliare come misura alternativa disciplinata all’art. 47-ter o.p. Quest’ultimo, infatti, quanto alle modalità esecutive rinvia all’ art. 284 c.p.p. e dunque, come per la detenzione domiciliare ivi disciplinata, si consente al condannato di allontanarsi dall’abitazione, su autorizzazione del giudice, “per il tempo strettamente necessario a provvedere alle sue indispensabili esigenze di vita ovvero per esercitare una attività lavorativa”, sempre però se egli non possa provvedere diversamente a quelle esigenze. La nuova detenzione domiciliare sostitutiva comporta l’obbligo di “rimanere nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora ovvero in luogo pubblico o privato di cura, assistenza o accoglienza ovvero in comunità o in case famiglia protette, per non meno di dodici ore al giorno (ndr a fronte delle ventiquattro potenzialmente raggiungibili nella omonima misura alternativa), avuto riguardo a comprovate esigenze familiari, di studio, di formazione professionale, di lavoro o di salute del condannato. In ogni caso il condannato può lasciare il domicilio per almeno quattro ore al giorno, anche non continuative, per provvedere alle sue indispensabili esigenze di vita e di salute, secondo quanto stabilito dal giudice”. Anche in tal caso, uno dei perni della sanzione sostitutiva sarà il programma di trattamento elaborato dall’UEPE che ha anche il compito di riferire sulla condotta e sul percorso di reinserimento sociale del condannato con ciò rendendo evidente la natura differente della nuova detenzione domiciliare sostitutiva, strumento orientato alla reintegrazione sociale del condannato, rispetto all’omonima misura alternativa, dai contorni precipuamente umanitari. Il nuovo articolo 56 della L. n. 689/1981, pone anche limiti oggettivi ragionevoli alla individuazione del luogo di detenzione domiciliare sostitutiva (non può essere un immobile occupato abusivamente e deve assicurare le esigenze di tutela della persona offesa dal reato, prevedendosi anche la possibilità che l’UEPE individui soluzioni abitative comunitarie adeguate onde non tagliare fuori dall’applicabilità concreta della norma quelle fasce di popolazione potenzialmente carceraria che non dispongono di un domicilio idoneo). Infine, allo scopo di garantire ulteriore sicurezza sui movimenti del condannato in detenzione domiciliare sostitutiva, si prevede la possibilità di applicare strumenti elettronici o tecnici di controllo. Lavoro di pubblica utilità sostitutivo Anche il lavoro di pubblica utilità sostitutivo, disciplinato dal nuovo articolo 56-bis L. n. 689/1981, definito come “prestazione di attività non retribuita in favore della collettività da svolgere presso lo Stato, le Regioni, le Province, le Città metropolitane, i Comuni o presso enti o organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato” e solitamente svolta nell’ambito della regione in cui risiede il condannato, si discosta molto dall’archetipo rappresentato dall’omologa pena principale applicabile dal giudice di pace (art. 54 D.Lgs. n. 274/2000) che derivava a sua volta dalla sanzione da conversione della pena pecuniaria prevista negli artt. 102 e 105 L. n. 698/81 (lavoro sostitutivo). Il nuovo lavoro di pubblica utilità sostitutivo fa espresso rinvio alla disciplina della pena applicabile dal giudice di pace ex lege 274/2000, in quanto compatibile, fermo restando però che la sua durata deve essere corrispondente a quella della pena detentiva sostituita (con ciò differenziandosi nettamente dalla durata massima prevista per la pena applicabile dinanzi al giudice di pace, che è sei mesi) ed è prevista la prestazione di non meno di sei ore e non più di quindici ore di lavoro settimanali (salvo che sia il condannato a chiedere espressamente di essere ammesso a lavorare per un tempo superiore) in maniera da non pregiudicare le persistenti e sempre richiamate esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute del condannato. La durata giornaliera della prestazione non può essere comunque superiore alle otto ore e ai fini del computo della pena un giorno di lavoro di pubblica utilità consiste nella prestazione di due ore di lavoro. Merita menzione la disposizione per cui l’autore del reato che opti per il lavoro di pubblica utilità sostitutivo di pena applicata con decreto penale di condanna o con sentenza di patteggiamento, può ottenere la revoca della confisca disposta qualora lo svolgimento del lavoro abbia avuto esito positivo e sia stato accompagnato dal risarcimento del danno o dalla rimozione delle conseguenze dannose del reato, ove possibili (salvi i casi di confisca obbligatoria del prezzo, del profitto o del prodotto del reato ovvero delle cose la cui fabbricazione, uso e porto, detenzione o alienazione costituiscano reato). Tutte le pene sostitutive, eccetto la pena pecuniaria, sono accompagnate da prescrizioni comuni dettate dall’art. 56-ter della rinnovata normativa in materia: divieto di portare e detenere armi e munizioni, a qualsiasi titolo; divieto di frequentare pregiudicati o persone sottoposte a misure di sicurezza o prevenzione; obbligo di permanere nell’ambito territoriale stabilito dal provvedimento applicativo; ritiro del passaporto e sospensione della validità ai fini dell’espatrio di ogni altro documento equipollente; obbligo di portare con sé e presentare a richiesta degli organi di polizia il provvedimento applicativo o esecutivo alla pena sostitutiva. In più, il giudice può prescrivere il divieto di avvicinarsi ai luoghi frequentati dalla persona offesa, misura che seguirà le regole di applicazione, in quanto compatibili, della misura cautelare di cui all’art. 283-ter c.p.p. Pena pecuniaria sostitutiva Per determinare l’ammontare della pena sostitutiva il giudice “individua il valore giornaliero al quale può essere assoggettato l’imputato e lo moltiplica per i giorni di pena detentiva. Il valore giornaliero non può essere inferiore a 5 euro e superiore a 2500 euro” e va commisurata in sostanza alle complessive condizioni economiche, patrimoniali e di vita dell’imputato e del suo nucleo familiare. Appare evidente, dunque, la scelta del legislatore nel senso di evitare che la possibilità di sostituzione di pena detentiva breve con pena pecuniaria tagli fuori una ampia fetta di condannati sulla base della disponibilità reddituale. Il punto cruciale delle novità normative sull’argomento riguarda il valore minimo della quota giornaliera che la L. n. 94/2009, modificando l’art. 135 c.p., aveva fissato in 250 euro. La disposizione era stata più volte portata all’attenzione della Corte costituzionale che, pur dichiarando, una prima volta, la questione inammissibile, aveva rilevato che “quel valore minimo rendeva eccessivamente onerosa, per molti condannati, la sostituzione della pena pecuniaria” rischiando così di trasformarsi in un privilegio per cittadini abbienti con profili di oggettiva incompatibilità con l’art. 3, comma 2 Costituzione. Di fronte all’inattività del legislatore, successivamente la Corte dichiarava la disposizione dell’ art. 135 c.p. illegittima sostituendo il minimo di 250 euro con 75 euro di nuovo però rinviando al legislatore perché individuasse soluzioni diverse ancor più conformi con il principio costituzionale di eguaglianza. Limiti oggettivi e soggettivi di applicabilità, poteri discrezionali del giudice e criteri di ragguaglio I limiti oggettivi di applicabilità delle pene sostitutive sopra descritte sono indicati dal nuovo art. 53 della L. n. 689/1981: un massimo di quattro anni per l’applicabilità della semilibertà o detenzione domiciliare sostitutive, un massimo di tre anni per il lavoro di pubblica utilità sostitutivo e un massimo di un anno per la pena pecuniaria sostitutiva. Quanto invece alle condizioni soggettive di applicabilità e scelta, esistono parametri fissi stabiliti dal legislatore delegato al nuovo articolo 59 della L. n. 689/1981 e dei parametri di inevitabile e ampia valutazione discrezionale in capo al giudice. La durata della pena sostitutiva è uguale a quella della pena sostituita nel caso delle prime tre misure e, ad ogni effetto giuridico, esse si considerano come pena detentiva di specie corrispondente a quella sostituita con una equiparazione di un giorno dell’una ad un giorno dell’altra. La pena pecuniaria invece si considera sempre come tale, anche quando sostitutiva di pena detentiva. I poteri discrezionali che il legislatore ha voluto attribuire al giudice in sede di scelta e applicazione delle pene sostitutive sono significativi e pienamente coerenti con la ratio generale di questa parte della riforma in vista di una deflazione delle pene detentive brevi, ma soprattutto di un senso rieducativo effettivo dato alle pene sostitutive: “il giudice tenuto conto dei criteri indicati nell’art. 133 c.p., se non ordina la sospensione condizionale della pena, può applicare le pene sostitutive della pena detentiva quando risultano più idonee alla rieducazione del condannato e quando, anche attraverso opportune prescrizioni, assicurano la prevenzione del pericolo di commissione di altri reati. La pena detentiva non può essere sostituita quando sussistono fondati motivi per ritenere che le prescrizioni non saranno adempiute dal condannato”. Anche i criteri che devo orientare la scelta, motivata, del giudice evidenziano i cardini del sistema delle nuove pene sostitutive: finalità di reinserimento sociale quanto più effettivo possibile e correlativo minor sacrificio possibile della libertà personale. Esistono delle preclusioni soggettive previste normativamente (nuovo articolo 59) nei confronti di chi ha commesso il reato entro tre anni dalla revoca di una pena sostitutiva già comminata o di chi ha commesso un delitto non colposo durante l’esecuzione delle stesse, situazione che consente tuttavia al giudice di sostituire la pena da comminare con una pena sostitutiva più grave di quella revocata; nei confronti di un imputato a cui deve essere applicata misura di sicurezza personale, salvo i casi di parziale incapacità di intendere e di volere; nei confronti di tutti gli autori dei reati compresi nell’elenco di cui all’art. 4-bis dell’o.p. e salvo che sia stata riconosciuta l’attenuante di cui all’art. 323-bis, comma 2 c.p. Quanto all’imputato che, condannato precedentemente a pena pecuniaria, anche sostitutiva, non abbia pagato, è preclusa la pena pecuniaria sostitutiva. Altre previsioni normative stanno a manifestare la netta propensione del legislatore per l’ampliamento maggiore possibile dell’utilizzo delle pene sostitutive: anzitutto le previsioni inerenti la possibilità che il giudice, in caso di mancata esecuzione della pena sostitutiva ovvero di violazione grave o reiterata degli obblighi e delle prescrizioni ad essa inerenti, ne determini la revoca e sostituisca la parte residua non solo necessariamente con la pena detentiva sostituita ma anche con un’altra pena sostitutiva più grave. Poi, la esplicita inapplicabilità al condannato in espiazione di pena sostitutiva delle misure alternative alla detenzione di cui al capo VI del titolo I della L. n. 354/1975 fatta salva la previsione del nuovo art. 47 comma 3-ter della citata legge per cui, in deroga alla regola generale, l’affidamento in prova al servizio sociale (che è pacificamente misura più favorevole delle pene sostitutive in quanto nemmeno lontanamente paracarceraria) può essere concesso al condannato alle pene sostitutive della semilibertà o della detenzione domiciliare dopo l’espiazione di almeno metà della pena, a condizione che abbia serbato un comportamento tale per cui l’affidamento in prova appaia più idoneo alla rieducazione del condannato e assicuri comunque la prevenzione del pericolo che egli commetta altri reati. Acconsentire dunque alla semilibertà o alla detenzione domiciliare non preclude definitivamente la possibilità di accedere all’affidamento in prova. Infine, la disposizione che più di ogni altra, nella parte qui trattata della recente riforma, dimostra ed esplicita il tentativo di rilanciare questo strumento al tempo stesso deflattivo della condanna carceraria e rieducativo effettivo dei condannati nei circuiti sani della società, è l’espressa esclusione della possibilità di sospendere condizionalmente le pene sostitutive (art. 61-bis) con ciò dando nuova linfa al sistema sostitutivo e rinnegando così la natura di pene autonome delle pene sostitutive riaffermandone piuttosto la natura di modalità esecutiva della pena comminata, alternative esse stesse alla sospensione condizionale. Appare evidente che il processo di rivisitazione organica della disciplina delle sanzioni sostitutive di pene detentive brevi, ora definite finalmente pene sostitutive a scanso di ulteriori ambiguità, muove dalla presa d’atto del sostanziale fallimento di questi strumenti: a fine 2021, secondo le statistiche tratte dal sito del Ministero della Giustizia, quattro risultavano i condannati in semidetenzione e centodue in libertà controllata, con un’incidenza pari al 0,2% del numero complessivo dei soggetti in area esterna penale. Finora, infatti, la sovrapposizione della sfera di operatività delle sanzioni sostitutive e della sospensione condizionale della pena rendeva di fatto le prime meno convenienti della seconda in ogni modo. Anche la sovrapposizione con talune misure alternative alla detenzione, in quanto applicabili ab initio e dunque ancora in condizione di libertà attraverso il meccanismo della sospensione dell’esecuzione di cui all’art. 656 c.p.p., creava i presupposti per una sostanziale concorrenza funzionale rispetto alle sanzioni sostitutive a netto discapito di queste ultime, attesa l’assorbente forza attrattiva delle altre. Ora viene definitivamente meno l’equazione tra pena detentiva sospendibile e pena detentiva sostituibile e la nozione legale di pena detentiva breve è mutata radicalmente con il limite passato da due a quattro anni. Sempre nel quadro di questo netto favor manifestato dal legislatore nelle sue scelte riguardo la disciplina delle pene sostitutive si innesta l’esclusione, al condannato ad una delle pene sostitutive di cui agli artt. 55, 56, 56-bis L. n. 689/1981, dell’applicazione dell’art. 120 D.Lgs. 30 aprile 1992 n. 285: da un lato, infatti, questa scelta normativa dovrebbe rendere le pene sostitutive realmente finalizzate al reinserimento sociale del condannato anche non privandolo di uno strumento fondamentale per gli spostamenti ed il lavoro; dall’altro ciò incrementa la forza attrattiva delle pene sostitutive rispetto alle omologhe misure alternative alla detenzione. Espressione della consapevolezza del legislatore che la previsione di un programma da affiancare alla maggior parte delle pene sostitutive può richiedere un tempo supplementare rispetto alla valutazione teorica della sostituibilità della pena da comminare, è l’art. 545-bis c.p.p., introdotto dall’art. 31 del D.Lgs. n. 150/2022 che delinea il procedimento attraverso il quale si approda alla decisione sulla sostituzione della pena detentiva: se il giudice, una volta ritenuto che sussistano le condizioni per sostituire la pena detentiva con una pena sostitutiva, e acquisito il consenso dell’imputato, prestato personalmente o a mezzo di procuratore speciale, non ritiene di disporre degli elementi necessari per decidere immediatamente, dispone la sospensione del processo e la fissazione di un’apposita udienza non oltre sessanta giorni, con avviso alle parti e all’UEPE competente. Appare dunque evidente che anche la valutazione sulla sostituibilità delle pene detentive fino a quattro anni e gli elementi prognostici non solo negativi, sulla non recidivanza nel reato, ma anche positivi sulla realistica probabilità che le prescrizioni dell’una o dell’altra pena sostitutiva saranno adempiute, dovranno entrare a far parte dell’oggetto della decisione del giudice della cognizione che, dunque, dovrà ampliarsi fino a ricomprendere una approfondita indagine sulla personalità dell’imputato. D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 – G.U. 17 ottobre 2022, n. 243, suppl. ord. n. 38/L

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