Protezione internazionale per chi è vittima di un matrimonio forzato nel Paese di origine
La costrizione ad un matrimonio non voluto è stata qualificata da questa Corte anche in termini di grave violazione della dignità, e dunque trattamento degradante che integra un danno grave, la cui minaccia, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, può provenire anche da soggetti diversi dallo Stato, qualora le autorità pubbliche o le organizzazioni che controllano lo Stato, o una sua parte consistente, non possano o non vogliano fornire protezione adeguata. Lo stabilisce la Cassazione civile, sez. VI - 1, ordinanza 11 gennaio 2023, n. 606. ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi Cass. n. 25873/2013 Cass. n. 25463/2016 Cass. n. 6573/2020 Cass. n. 23017/2020 Cass. n. 13648/2021
Difformi
Non si rinvengono precedenti in terminiNel richiedere il riconoscimento della protezione internazionale o ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, la ricorrente esponeva le seguenti ragioni: di essere stata cresciuta con il padre in seguito alla separazione dei genitori quando lei era piccola; di aver studiato e lavorato come commessa; che in seguito alla morte del padre, i famigliari paterni decidevano di vendere tutte le proprietà, non lasciando nulla alla ricorrente e si accordavano con un creditore - con cui si erano indebitati per pagare le cure di suo padre - per saldare il debito dando in sposa la ricorrente; di essere riuscita a fuggire cercando aiuto da una zia e poi dalla signora presso cui lavorava come commessa, la quale l'aveva aiutata a lasciare la Nigeria raggiungendo Kano e successivamente la Libia, dove era stata sfruttata e rinchiusa in una casa da un uomo, giungendo infine in Italia. In seguito, il Tribunale di Venezia, in seguito all'audizione della ricorrente all'udienza del ha ritenuto insussistenti i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione. In particolare, il Giudice di primo grado ha ritenuto credibile la zona di provenienza della ricorrente mentre ha ritenuto inattendibile e inverosimile il racconto sia per quanto attiene ai motivi di fuga dal Paese di origine sia relativamente alla condizione di sfruttamento in Libia. Il Tribunale ha escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiata e della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251/2007, art. 14, lett. a) e b), nonchè la sussistenza di una situazione di violenza generalizzata nel Paese di origine sulla base delle fonti COI (informazioni sul Paese d’origine) consultate e menzionate. Il Tribunale ha infine escluso la sussistenza dei presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno ai sensi del D.Lgs. n. 286/1998, art. 5, comma 6, nonché altre di altre tipologie di permessi per casi speciali ritenendo a tal fine non determinanti le vicende relativa alla Libia, essendo state narrate genericamente e non essendo stata documentata l'esistenza di postumi sull'integrità psicofisica della ricorrente dai maltrattamenti asseritamente subiti. Inoltre, il Tribunale ha ritenuto non raggiunto un adeguato livello di integrazione sociale della ricorrente in Italia, non avendo ella un'occupazione lavorativa stabile e una retribuzione sufficiente a vivere dignitosamente, pur rilevando che inizialmente era stato dedotto che la ricorrente viveva in Italia grazie all'aiuto del compagno, che risulta risiedere in un'altra abitazione e che dal 3 marzo 2021 la stessa risulta ospite di un altro connazionale, rilevando infine che in Patria avrebbe conservato riferimenti famigliari. La ricorrente ha impugnato il provvedimento veneziano in Cassazione, la quale lo ha accolto affermando che sia doverosa l'acquisizione di specifiche COI, finalizzate all'accertamento dell'aspetto in discussione, poichè non è affatto irrilevante la verifica della effettività dei poteri statuali e della capacità degli stessi di fornire adeguata protezione alla vittima del grave danno denunciato, ancorché le minacce provengano da soggetti privati o addirittura da familiari. Nella specie, il giudice di merito ha ritenuto illegittimamente di poter omettere tale verifica, mentre sarebbe stato invece suo dovere assumere anzitutto, anche d'ufficio, informazioni sulla situazione generale della Nigeria, con riferimento al tipo di problema posto dalla ricorrente, attraverso i canali indicati al D.Lgs. n. 25/2008, art. 8, comma 3, o mediante altre fonti che fossero in concreto disponibili, e solo all'esito di ciò formulare una pertinente valutazione. Esito: La Corte accoglie il ricorso e rinvia al Tribunale di Venezia in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità. Riferimenti normativi: Art. 5, co. 6, D.Lgs. n. 286/1998 Cassazione civile, sez. VI - 1, ordinanza 11 gennaio 2023, n. 606
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