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"Nuovo" Processo per astensione o ricusazione del Giudice. Quali gli atti che si salvano?

In primo luogo la interpretazione letterale dell'art. 42 cod. proc. pen., comma 2 non da adito a dubbi (Cass. S.U. n. 13626/2011).

La disposizione, infatti, nello stabilire che "il provvedimento che accoglie la dichiarazione di astensione o di ricusazione dichiara se e in quale parte gli atti compiuti precedentemente dal giudice astenutosi o ricusato conservano efficacia" determina in primo luogo con precisione il giudice che deve adottare il provvedimento.

Si tratta, invero, del giudice dell'astensione o della ricusazione, come affermato dalla richiamata sentenza Zuccotti, e come si desume dalla lettera della disposizione.

Del resto è proprio il giudice che decide sulla astensione che conosce i profili di incompatibilità del giudice astenutosi e che può quindi valutare con precisione gli effetti di tale rilevata incompatibilità sugli atti di natura probatoria assunti in precedenza.

Inoltre, proprio perchè si tratta di un profilo molto delicato perchè attiene alla imparzialità e terzietà del giudice, il provvedimento che decide la sorte degli atti posti in essere dal giudice astenuto deve essere adottato con la maggiore celerità possibile al fine di evitare dubbi sulla parzialità del giudizio.

In effetti hanno affermato la esclusiva competenza del giudice della ricusazione e della astensione ad adottare il provvedimento sulla conservazione di efficacia degli atti in precedenza assunti dal giudice astenuto anche le numerose sentenze che, pur riconoscendo la necessaria tempestività del provvedimento stesso, hanno giustificato, per la complessità delle valutazioni da compiere, la non contestualità del provvedimento ex art. 42 c.p.p., comma 2, all'accoglimento della dichiarazione di astensione, da adottarsi, comunque, in sequenza ravvicinata a quest'ultima (tra le tante, Sez. 6, n. 23261, 18 marzo - 27 maggio 2003, Matteucci, Rv. 225756, che aveva ritenuto legittimo il provvedimento di efficacia degli atti depositato il giorno successivo a quello dell'accoglimento della dichiarazione di astensione).

1.6. Ma se su tale questione non sembra esservi contrasto, e d'altra parte nemmeno il ricorrente pone problemi sul punto, vi è, come già rilevato, contrasto in ordine alla necessità o meno della declaratoria di efficacia degli atti precedentemente assunti dal giudice astenuto.

Ancora una volta la interpretazione letterale della disposizione non lascia adito a dubbi perchè l'art. 42 cod. proc. pen., comma 2 precisa che "il provvedimento (...) dichiara se e in quale parte gli atti compiuti precedentemente dal giudice astenutosi o ricusato conservano efficacia".

E' vero che la disposizione in discussione, che sostanzialmente riproduce quella dell'art. 70 codice previgente, viene tradizionalmente considerata espressione del principio di conservazione degli atti (vedi Relazione al Progetto preliminare del cod. proc. pen., 29), ma, come è stato attentamente osservato da autorevole dottrina, ove si fosse voluto attagliare la disposizione al principio di conservazione degli atti la si sarebbe dovuta formulare secondo uno schema antitetico del tipo "se e in quale parte gli atti compiuti perdano efficacia".

Del resto la prevalente dottrina, anche se qualche Autore ha avuto dei ripensamenti, si è pronunciata per la necessità di una espressa declaratoria di conservazione di efficacia degli atti, in difetto della quale gli atti compiuti dal giudice astenutosi e/o ricusato sono da ritenere improduttivi di effetti.

Vi è quindi una sorta di presunzione di inefficacia degli atti posti in essere dallo iudex suspectus prima dell'accoglimento della dichiarazione di astensione o della ricusazione, che può essere rimossa con la declaratoria di efficacia di tutti o di alcuni atti dal giudice della ricusazione, che abbia verificato se malgrado la riconosciuta carenza di imparzialità del giudice, vi siano atti che non abbiano subito alterazione, così da poter essere conservati.

La necessità di una tale pronuncia, peraltro già affermata dall'art. 70 c.p.p. 1930, deriva anche da una interpretazione logico- sistematica dell'istituto in discussione.

Come si è già accennato, la disciplina delle incompatibilità, della astensione e della ricusazione è preordinata alla tutela del principio di imparzialità del giudice, coessenziale alla funzione dello ius dicere ed alla attuazione del giusto processo richiesto dalla Costituzione, come chiarito dalla giurisprudenza costituzionale (Corte cost., 20 maggio 1996, n. 155), che ha precisato che "tra i principi del "giusto processo", posto centrale occupa l'imparzialità del giudice, in carenza della quale le regole e le garanzie processuali si svuoterebbero di significato e che l'imparzialità è perciò connaturata all'essenza della giurisdizione".

Ed anche la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata con la L. 4 agosto 1955, n. 848, all'art. 6, comma 1, dispone che "ogni persona ha diritto che la sua causa sia esaminata equamente (...) da parte di un tribunale indipendente e imparziale".

E' allora perfettamente comprensibile che in presenza di situazioni nelle quali l'imparzialità è violata o, semplicemente, appare compromessa, la legge processuale disponga il controllo dell'efficacia degli atti compiuti dal giudice astenutosi o ricusato quale ineliminabile garanzia che il loro contenuto non è stato pregiudicato dalla situazione di sospetto che ha motivato l'accoglimento della richiesta di astensione o di ricusazione (tali argomenti sono contenuti nella motivazione della sentenza Zuccotti ed altri già richiamata).

L'obbligatorietà della declaratoria di efficacia degli atti ex art. 42 c.p.p., comma 2, trova significativa conferma nella disposizione di cui al D.L. 23 ottobre 1996, n. 553, art. 1, convertito nella L. 23 dicembre 1996, n. 652, come correttamente rilevato nella ordinanza di rimessione.

Tale decreto-legge intervenne subito dopo la sentenza della Corte cost. n. 371 del 1996, con cui fu dichiarata l'illegittimità dell'art. 34 c.p.p., comma 2, "nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio nei confronti di un imputato il giudice che abbia pronunciato o concorso a pronunciare una precedente sentenza nei confronti di altri soggetti, nella quale la posizione di quello stesso imputato in ordine alla sua responsabilità penale sia stata compiutamente valutata".

L'art. 1, comma 2, del citato decreto-legge dispose che conservano efficacia gli atti compiuti anteriormente al provvedimento che accoglie la dichiarazione di astensione o di ricusazione del giudice per una delle cause di incompatibilità stabilite dall'art. 34 c.p.p., comma 2, quando sia già stata dichiarata l'apertura del dibattimento.

Si tratta di una norma transitoria e perciò eccezionale che deroga all'art. 42 c.p.p., comma 2, cosicchè risulta confermato che la regola non è quella della conservazione di efficacia degli atti, bensì quella contraria della inefficacia degli atti, salva la diversa espressa dichiarazione di cui all'art. 42 c.p.p., comma 2.

La soluzione raggiunta comporta, però, alcuni rilevanti problemi.

1.7. La mancanza di una declaratoria di efficacia degli atti determina, come si è detto, la inefficacia di tutti gli atti compiuti dal giudice prima dell'accoglimento della dichiarazione di astensione o dell'accoglimento della istanza di ricusazione; le parti potrebbero non essere d'accordo con tale decisione.

Anche sull'apprezzamento negativo, o parzialmente negativo, del giudice che ha accolto la ricusazione o ha autorizzato l'astensione le parti potrebbero dissentire sia subito dopo l'adozione del provvedimento, sia, a maggior ragione, dopo l'espletamento della istruttoria dibattimentale e, quindi, causa cognita.

Le norme procedurali prevedono la impugnabilità della ricusazione e la inoppugnabilità del provvedimento sulla dichiarazione di astensione.

In ogni caso, però, non è prevista la impugnabilità del provvedimento emesso ex art. 42 c.p.p., comma 2, (Sez. 2, n. 25724 del 2004, Rv. 229029, Contaldo; Sez. 6, n. 1391 del 2007, Rv. 235728, Cremonesi).

In effetti, come emerge dalla relazione al codice di rito, i rilievi della Commissione parlamentare, secondo i quali la previsione dell'art. 42 cod. proc. pen., comma 2 avrebbe assegnato una discrezionalità troppo ampia al giudice della astensione o della ricusazione, non furono condivisi dal Governo, in quanto si osservò che, nella applicazione dell'abrogato art. 70, comma 2, la giurisprudenza aveva evidenziato che scopo dell'ampio potere discrezionale conferito al giudice nel vagliare l'attività precedentemente compiuta dal giudice astenutosi o ricusato, è quella di consentirgli di verificare "con apprezzamento insindacabile" se nonostante la astensione o la riconosciuta carenza di imparzialità del giudice ricusato, vi fossero in concreto atti che, non risultando in alcun modo influenzati dalle situazioni descritte negli artt. 36 e 37 cod. proc. pen., non perdessero il loro valore processuale.

La inoppugnabilità del provvedimento in discussione, però, se non temperata da un sistema di rivedibilità o di sindacabilità della decisione del giudice dell'astensione e della ricusazione, finirebbe con il sottrarre definitivamente gli atti a contenuto probatorio dichiarati erroneamente inefficaci, o ritenuti tali per mancata pronuncia da parte del giudice dell'astensione e/o della ricusazione, all'apprezzamento del giudice del dibattimento che, fondandosi sul contraddittorio tra le parti, è il vero dominus nel sistema processuale vigente degli atti a contenuto probatorio.

Del resto, se la decisione del giudice dell'astensione e della ricusazione non fosse sindacabile dal giudice del processo, le norme processuali, che prevedono la inoppugnabilità del provvedimento ex art. 42 c.p.p., comma 2, non si sottrarrebbero ad una censura di illegittimità costituzionale.

Tale problema si è, infatti, posto in sede civile, ove è stata dichiarata manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 53 cod. proc. civ. nella parte in cui non prevede l'impugnabilità con il rimedio del ricorso straordinario per cassazione dell'ordinanza che decide sulla ricusazione del giudice, in quanto il principio di imparzialità è sufficientemente garantito dalla possibilità per la parte, che abbia visto rigettata la propria istanza di ricusazione, di chiedere al giudice di appello un riesame di tale pronuncia impugnando la sentenza conclusiva resa dal giudice invano ricusato (Sez. U civ., n. 17636 del 20 novembre 2003).

La Suprema Corte ha, altresì, precisato che in materia civile la ordinanza di inammissibilità dell'istanza di ricusazione non è impugnabile perchè manca del necessario carattere della definitività, in quanto la non impugnabilità ex se dell'ordinanza non esclude che il suo contenuto sia suscettibile di essere riesaminato nel corso dello stesso processo attraverso il controllo sulla pronuncia resa con il concorso dello iudex suspectus (Sez. 1^ civ., 23 aprile 2005, n. 8569).

Da quanto detto si desume che la illegittimità costituzionale derivante dalla inoppugnabilità dei provvedimenti in materia di astensione e ricusazione è stata esclusa soltanto perchè il contenuto del provvedimento è suscettibile di essere riesaminato nel corso del processo; un siffatto principio di portata generale non può non essere valido anche in materia penale; da ciò discende la necessità di una sindacabilità della declaratoria di efficacia, o della mancata declaratoria, ad opera del giudice del processo proprio per evitare, con una interpretazione costituzionalmente orientata dell'istituto, una illegittimità costituzionale per violazione degli artt. 3, 24, 25 e 111 Cost..

1.8. Esaminando con maggiore precisione il provvedimento ex art. 42 c.p.p., comma 2, deve dirsi che, come è stato correttamente osservato, si tratta di un provvedimento di natura non decisoria, ma dichiarativa perchè fondato su una ricognizione degli atti a contenuto probatorio compiuta, inaudita altera parte, dal giudice della ricusazione, che ha in materia una competenza per così dire interinale (Sez. 6, n. 1391 del 2006, Cremonesi, cit.), che non può frustrare la competenza esclusiva del collegio giudicante a statuire in merito alla loro utilizzabilità effettiva, ai fini del decidere.

Posto che non bisogna confondere il piano della efficacia degli atti precedentemente compiuti, al quale fa riferimento l'art. 42 cod. proc. pen., comma 2, con quello della utilizzabilità degli stessi mediante il meccanismo di acquisizione e di recupero delineato dall'art. 511 c.p.p.riguardante le letture consentite, è necessario chiarire il significato della espressione "efficacia degli atti" contenuta nell'art. 42 cod. proc. pen., comma 2.

Il legislatore mentre definisce con precisione i concetti di inutilizzabilità e nullità degli atti a contenuto probatorio, non chiarisce cosa debba intendersi per inefficacia degli atti.

Orbene l'atto a contenuto probatorio ritenuto efficace è quello in grado di produrre effetti giuridici, e, quindi, in materia processuale penale è l'atto che può essere legittimamente mantenuto nel fascicolo per il dibattimento, fatto che costituisce il presupposto logico per una successiva, ed eventuale, utilizzazione dello stesso per la decisione.

Nel senso indicato si è espressa esplicitamente la Suprema Corte (Sez. 2, n. 21831, 28 gennaio - 5 giugno 2002, Rv. 221987), che ha affermato che la indicazione degli atti che conservano efficacia ex art. 42 cod. proc. pen. ha il significato di precisare quali atti possano essere mantenuti nel fascicolo del dibattimento, ferma la competenza esclusiva del collegio giudicante a stabilire la loro utilizzabilità o meno ai fini della decisione sulla scorta di quanto previsto dagli artt. 525 e 511 cod. proc. pen..

E anche la Corte costituzionale (ord. n. 25 del 2010) ha stabilito che il provvedimento ex art. 42, comma 2, "vale (...) a delimitare l'area del possibile "recupero" dell'attività istruttoria già espletata", recupero che può avvenire soltanto se gli atti a contenuto probatorio siano stati inseriti nel fascicolo del dibattimento.

Quindi sono efficaci gli atti che legittimamente possono essere inseriti nel fascicolo del dibattimento; tali atti possono in una fase successiva essere dichiarati utilizzabili ai fini della decisione.

Tuttavia la discussione sull'inserimento o meno degli atti dichiarati efficaci ai sensi dell'art. 42 c.p.p., comma 2, non soffre la preclusione di cui all'art. 491 c.p.p., comma 1, che riguarda la selezione degli atti e dei documenti che possono essere conosciuti preventivamente dal giudice del dibattimento, ma non le valutazioni del giudice circa l'ammissibilità della prova desumibile sia da atti inseriti nel fascicolo del dibattimento sia da atti che erroneamente non vi siano stati inseriti (Sez. 5, 18 aprile - 22 maggio 2000, n. 5944, Benvenuto e Sez. 6, 6 febbraio - 27 maggio 2003, n. 23246).

Ciò perchè il giudice del dibattimento ha una competenza generale in ordine alla valutazione di ammissibilità delle prove ed alla assunzione delle stesse e sarà, pertanto, tale giudice a verificare in ultima analisi anche la efficacia o meno degli atti a contenuto probatorio compiuti dallo iudex suspectus prima della autorizzazione alla astensione ed a determinare la definitiva inclusione o esclusione di tali atti dal fascicolo per il dibattimento, attività che deve necessariamente precedere la valutazione di utilizzabilità o meno delle prove.

1.9. In effetti, approfondendo l'analisi della situazione processuale in esame, non vi è dubbio che quando venga autorizzata l'astensione o accolta la istanza di ricusazione si assiste necessariamente ad un mutamento dell'organo giudicante, monocratico o collegiale che sia.

Ebbene in siffatta ipotesi, in ossequio al principio della immutabilità del giudice di cui all'art. 525 c.p.p., comma 2, il dibattimento deve essere rinnovato e deve essere riproposta tutta la sequenza procedimentale prevista, a meno che le parti non consentano, o meglio non si oppongano (Sez. 5, 16 maggio - 19 settembre 2008, n. 35975, Rv. 241583) alla lettura dei verbali relativi alle prove in precedenza acquisite.

Ed è esattamente questo il momento in cui il provvedimento ex art. 42 c.p.p., comma 2, può essere sindacato, perchè le parti, prima di prestare il consenso alla lettura dei verbali delle prove già acquisite, ed il giudice, prima di dichiarare utilizzabili le prove stesse secondo il combinato disposto degli artt. 525 e 511 cod. proc. pen., valuteranno le prove acquisite anche per i profili che potrebbero determinarne la inefficacia ai sensi dell'art. 42 c.p.p., comma 2. 1.10. Per concludere sul punto la soluzione prospettata di sindacabilità del provvedimento di declaratoria di efficacia degli atti a contenuto probatorio assunti dal giudice poi astenutosi o ricusato elimina i dubbi di costituzionalità dell'art. 42 c.p.p., comma 2, e restituisce alle parti ed al giudice del dibattimento la piena disponibilità del materiale probatorio conformemente alla previsione del sistema processuale vigente.

Da tutto quanto precede risulta la infondatezza del primo motivo di impugnazione del D. perchè sia a seguito del primo mutamento del Collegio che del secondo i difensori consentirono alla lettura dei verbali degli atti probatori assunti; nella seconda occasione, infatti, risulta dal verbale di udienza che il consenso venne prestato dal difensore di ufficio, ritualmente presente, e già nominato come sostituto processuale dai difensori di altri due coimputati.

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