Nullità della citazione per vizi della vocatio in ius nel contenzioso legale
Nel contenzioso legale, la nullità della citazione per vizi della vocatio in ius, anche se rilevata in appello, consente al convenuto contumace di chiedere ed ottenere la rimessione in termini ex art. 294 c.p.c.. Il contenzioso legale è stato recentemente investito da una questione di eccezionale rilevanza relativa alla possibilità di chiedere ed ottenere la rimessione in termini da parte del convenuto che sia rimasto contumace fino al giudizio di appello. In particolare, con l’ordinanza interlocutoria n. 18297/2021 della Terza Sezione Civile, la Suprema Corte di Cassazione ha posto l’attenzione sulla possibilità che il convenuto, rimasto contumace nel giudizio di primo grado, in ragione della nullità della citazione non rilevata d’ufficio, possa chiedere ed ottenere in sede di appello la rimessione in termini per esercitare le attività difensive oramai precluse dalla conclusione del contenzioso legale di primo grado. Non solo. Con la medesima ordinanza è stato chiesto altresì se l’impugnazione della parte contumace in appello imponga di procedere al rifacimento dell’intero processo o solo degli atti connessi alla specifica ragione di nullità da cui è affetta la citazione. A tale interrogativo ha risposto la Cassazione a Sezioni Unite con la recentissima sentenza n. 2258 del 26 gennaio 2022, statuendo che il giudice di appello, pur non ricorrendo una ipotesi di rimessione della causa al giudice del primo grado e purché sia possibile, dovrà ordinare la rinnovazione degli atti compiuti in primo grado. Il contumace potrà, quindi, richiedere al giudice adito di essere rimesso in termini a norma dell’art. 294 c.p.c. per compiere le attività processuali che, altrimenti gli sarebbero precluse. Tuttavia, sarà onere del convenuto, contumace nel primo grado del contenzioso legale, dimostrare che la nullità della citazione gli ha impedito di avere contezza del processo. Inoltre, il Supremo Consesso ha posto l’accento anche sulla distinzione tra la rinnovazione degli atti nulli compiuti in primo grado ex artt. 354, comma 4, e 356 c.p.c. e la rimessione in termini per le attività segnate da preclusioni. Più precisamente, la Cassazione ha chiarito che la rimessione in termini, a differenza della rinnovazione degli atti nulli, è ammessa solo nel caso in cui venga dimostrata la mancata conoscenza del processo ai sensi dell’art. 294, comma 1, c.p.c.. Infatti, la rimessione in termini è uno strumento processuale che, basandosi su ragioni di equità e sul principio di conservazione degli atti, ha lo scopo di porre la parte che è rimasta involontariamente contumace nella condizione giuridica nella quale si sarebbe trovata in caso di costituzione tempestiva. Pertanto, dalla nullità dell’atto di citazione non discende l’automatica rimessione in termini del contumace appellante. Diversamente, si avrebbe una situazione tale per cui il contumace, non costituitosi in primo grado pur avendo avuto contezza del processo, si troverebbe in una situazione privilegiata, ottenendo così un paradossale “premio contumacia”. La sentenza in commento, dunque, dirime definitivamente il conflitto giurisprudenziale precedentemente registratosi sul punto. Infatti, la questione della rimessione in termini in ragione della nullità dell’atto di citazione per vizio della vocatio in ius, negli anni, era stata risolta in modo contrastante tanto dalla giurisprudenza, quanto dalla dottrina. Ripercorrendo brevemente i contrapposti orientamenti occorre richiamare una prima corrente giurisprudenziale, sorta in relazione al rito del lavoro, ma accolta anche nell’ambito del giudizio ordinario, che si era espressa affermando che il giudice d’appello, rilevata la nullità della vocatio in ius in un contenzioso civile di primo grado per inosservanza del termine di comparizione, avrebbe dovuto dichiararne la nullità, trattenere la causa e decidere nel merito, ammettendo l’appellante - contumace in primo grado - a svolgere tutte le attività assertive e probatorie che altrimenti gli sarebbero state precluse (Cass. Sezioni Unite, sentenza n. 122 del 21 marzo 2001). Successivamente, questo orientamento è stato superato con l’ordinanza interlocutoria n. 10580 resa dalla Cassazione, VI Sezione, il 7 maggio 2013. Anche nel caso di specie, il convenuto, rimasto contumace nel contenzioso legale di primo grado, in sede di appello aveva chiesto al giudice di poter svolgere tutte le attività che gli erano state precluse in primo grado. La Suprema Corte, in quella sede, ha precisato che nell’eventualità in cui il convenuto, destinatario di una citazione nulla, fosse rimasto contumace, decidendo solo successivamente di entrare nel processo attraverso l’appello, la sua condizione processuale avrebbe dovuto essere regolata ai sensi dell’art. 294, comma 1, c.p.c. in base al quale “il contumace che si costituisce può chiedere al giudice istruttore di essere ammesso a compiere attività che gli sarebbero precluse, se dimostra che la nullità della citazione o della sua notificazione gli ha impedito di avere conoscenza del processo o che la costituzione è stata impedita da causa a lui non imputabile”. Secondo tale orientamento, dunque, il convenuto costituitosi tardivamente avrebbe potuto esigere la rinnovazione dell’attività svolta prima della sua costituzione non potendo, però, compiere le attività oramai precluse nel momento della costituzione, se la nullità della citazione non gli aveva impedito di conoscere il processo e, quindi, di costituirsi. In continuità all’indirizzo inaugurato con la pronuncia del 2013 si è inserita la sentenza n. n. 2258 del 26 gennaio 2022, che si basa sui principi di ragionevole durata del processo e di effettività del diritto di difesa tenendo fede, peraltro, ai principi in tema di giusto processo sanciti anche dalla Carta di Nizza e dalla normativa eurounitaria. L’aspetto di rilievo messo in luce dalla Cassazione a Sezioni Unite con la pronuncia dello scorso 26 gennaio 2022, n. 2258, è che non sia necessario rinnovare l’intero processo rimettendo in termini la parte, ma sia, piuttosto, sufficiente rinnovare le sole attività strettamente consequenziali all’atto rinnovato, ponendo così il contumace involontario nella stessa condizione giuridica nella quale si sarebbe trovato se si fosse costituito tempestivamente nel primo grado del contenzioso legale. Pertanto, il giudice d’appello dovrà disporre la rinnovazione degli atti nulli espletati in primo grado che dovranno ripetersi in contraddittorio tra le parti, così riattribuendo al convenuto, rimasto contumace, quei poteri difensivi che non ha potuto (ma che avrebbe voluto) esercitare. Dunque, la rinnovazione degli atti nulli ordinata da parte del giudice d’appello coinvolge le attività difensive correlate e conseguenti all’atto rinnovato, ma non equivale alla rimessione in termini integrale ed automatica del contumace nello svolgimento di tutte le attività difensive impedite dalla mancata instaurazione del contraddittorio. Ai sensi dell’art. 294 c.p.c., la rimessione in termini sarà ristretta alle sole attività ormai precluse ed il cui tempestivo svolgimento sia stato impedito dalla mancata conoscenza del processo.
In tale ipotesi, dunque, il giudice d’appello potrà concedere:
la ripetizione degli atti nulli svolti in primo grado - dipendenti dalla nullità degli stessi - nel contraddittorio delle parti. Il convenuto dichiarato contumace in primo grado, potrà esercitare i poteri difensivi non esercitati e non soggetti a preclusione (i.e. potrà essere riassunta una prova, ma essendo maturate le preclusioni il convenuto non potrà introdurre la prova contraria);
la rimessione in termini, che consente alla parte di esercitare le attività soggette a preclusione (i.e. proporre eccezione di incompetenza ex art. 38 c.p.c., chiamare in causa un terzo, proporre la domanda riconvenzionale o richiedere la concessione dei termini per le memorie ex art. 183, comma 6, c.p.c.) a patto che la nullità della citazione abbia impedito al convenuto di avere conoscenza del processo.
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