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Navigazione nei canali di Venezia: non si applica il Codice della strada


Questo caso è veramente particolare ed inedito; non risulta, quanto meno, che la Cassazione si fosse mai interessata della circolazione nei canali di Venezia e delle relative sanzioni. La sentenza è molto interessante per le considerazioni svolte sotto il profilo del divieto di analogia. Abbiamo tutti presente come funzioni la circolazione a Venezia: nei canali circolano innumerevoli natanti, e, con un regolamento per la circolazione acquea, il Comune di Venezia dispone le velocità massime consentite in rii e canali alle imbarcazioni a motore. Nel Canal Grande e nel Canale di Cannaregio si può andare al massimo a 7 km/h, mentre in tutti i restanti rii e canali il massimo consentito è di 5 km/h. Questo regolamento è stato emanato dal Comune di Venezia in applicazione dell'articolo 517 del Regolamento per l'esecuzione del Codice della Navigazione. Quest'ultimo, infatti, prevede una serie di norme specifiche per la laguna veneta, che delegano ai comuni i poteri disciplinari di dettaglio della navigazione. La fattispecie giunta fino in Cassazione è la seguente. Un motoscafo, meglio, un mototaxi, veniva sanzionato per aver superato il limite (10 km/h anziché 5 km/h), a seguito di rilievo eseguito con telelaser, proprio come avviene sulle strade. La sanzione veniva impugnata. Il Tribunale di Venezia, rilevando che per la navigazione non è prevista una "tolleranza strumentale", con riduzione automatica della velocità rilevata dall'apparecchiatura in sede di misurazione della velocità delle imbarcazioni a motore, colma la “lacuna” attraverso l'applicazione analogica dell'art. 345, comma 2 del regolamento di esecuzione del codice della strada (D.P.R. n. 495 del 1992), secondo cui "In sede di approvazione è disposto che per gli accertamenti della velocità, qualunque sia l'apparecchiatura utilizzata, al valore rilevato sia applicata una riduzione pari al 5%, con un minimo di 5 km/h. Nella riduzione è compresa anche la tolleranza strumentale. Non possono essere impiegate, per l'accertamento dell'osservanza dei limiti di velocità, apparecchiature con tolleranza strumentale superiore al 5%". Regola ben nota a tutti gli automobilisti, ma non prevista per la navigazione, ove, a parità di strumenti di rilevazione, non è prevista alcuna “tolleranza” strumentale, che sulla strada è, invece, prevista per legge. Il tribunale considera tale mancanza una lacuna da colmare, mediante l'analogia. L'applicazione analogica dell'art. 345 cds viene compiuta dal Tribunale in base alla previsione dell'art. 1 del codice della navigazione, comma 2 ("Ove manchino disposizioni del diritto della navigazione e non ve ne siano di applicabili per analogia, si applica il diritto civile"). Contro la decisione del giudice di merito ricorre il Comune di Venezia. La Cassazione esamina criticamente l'operazione interpretativa compiuta dal giudice di secondo grado, cioè l'applicazione analogica dell'art. 345, comma 2, la cui conseguenza, in buona sostanza, è la riduzione automatica di 5 km/h della misurazione della velocità delle imbarcazioni a motore. La Suprema Corte, in via preliminare, sottolinea che la circolazione di veicoli a motore nell'acqua o sulla terra non è sostanzialmente diversa, anzi, sono due fenomeni “comparabili” che, dal punto di vista della disciplina giuridica, presentano aspetti comuni: in entrambi i casi, infatti, la legge deve: (a) prevedere limitazioni di velocità; (b) introdurre strumenti per controllarne il rispetto; (c) fare luogo ad accorgimenti per comprimere i margini di errore.Ciò precisato, il problema può essere scomposto in tre passaggi: — l'applicazione corretta dell'art. 12, comma 2 preleggi ("se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato"); — l'esigenza di introdurre accorgimenti per comprimere i margini di errore (meccanici ed umani) che si verificano in relazione alle operazioni di controllo dei limiti di velocità; — accertare se sia sufficiente la predetta esigenza comune alla circolazione stradale e acquea (a mezzo di veicoli a motore) a rendere (da sola) ragione dell'estensione analogica alla navigazione della riduzione automatica di 5 km/h prevista dall'art. 345 del Codice della Strada. La Cassazione risponde di no, per le seguenti ragioni. La funzione delle norme in materia di circolazione è bilanciare l'esigenza di trasportare persone, animali e cose ad una velocità corrispondente allo stadio evolutivo dei veicoli a motore con l'esigenza di proteggere ragionevolmente le persone e gli ambienti circostanti dai pericoli che tale velocità inevitabilmente comporta. Vi sono, però, alcune importanti differenze tra la circolazione terrestre e quella acquatica: il tipo di veicolo a motore, il grado di velocità che esso può raggiungere, l'elemento terrestre o acqueo su cui esso si muove, la forza d'attrito che il primo oppone al secondo, e - da ultimo, ma non per ultimo - le persone e l'ambiente circostanti. Queste specifiche peculiarità differenziano la circolazione stradale e la circolazione acquea ed impediscono, a giudizio della Cassazione, di poter disporre in via analogica la riduzione automatica di 5 km/h di cui al D.P.R. n. 495 del 1992, art. 345, comma 2, alla misurazione della velocità delle imbarcazioni, il cui effetto concreto, stanti i limiti di velocità indicati in apertura, sarebbe di consentire alle imbarcazioni di circolare a velocità doppia rispetto a quella prevista. Una conseguenza inaccettabile. Un'ultima osservazione della Suprema Corte chiude il discorso relativo all'applicazione dell'art. 12 preleggi e dell'art. 1 del codice della navigazione che, come visto, contiene una disposizione speciale in materia di analogia che richiama il “diritto civile". Ossia il diritto comune, il complesso delle norme e dei principi di diritto sullo sfondo del quale è possibile attribuire al diritto della navigazione il carattere della specialità. L'applicabilità del codice della strada per colmare le lacune del diritto della navigazione, secondo la Cassazione, è “doppiamente” da escludere: da un lato, s'interpone il criterio della somiglianza del caso ristretto all'interno della materia; dall'altro lato, s'interpone un fatto negativo, cioè la non appartenenza al diritto comune del codice della strada, del quale si può similmente predicare il carattere di disciplina speciale ispirata alla finalità della sicurezza della circolazione stradale (D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 1). Esito della domanda: Cassazione con rinvio della sentenza impugnata Riferimenti normativi: Art. 517 del Regolamento per l'esecuzione del Codice della Navigazione Art. 345 codice della strada

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