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Le novità nelle indagini preliminari


Il D.Lgs. 19 marzo 2024, n. 31 ha “corretto” la “Riforma Cartabia”, semplificando notevolmente la disciplina introdotta dal D.Lgs. n. 150/2022 per affrontare la cd. “stasi patologica” delle indagini. Le novità sono da accogliere con favore per la semplificazione della precedente normativa che è apparsa subito estremamente intricata e farraginosa. Esse sono rilevanti, consistendo, tra l’altro, nella attribuzione al GIP del compito di autorizzare il differimento del deposito della documentazione relativa alle indagini espletate, con l’integrale riscrittura dell’art. 415-ter c.p.p., che disciplina le conseguenze della scadenza dei termini per l'assunzione delle determinazioni inerenti all'esercizio penale e i diritti e le facoltà dell'indagato e della persona offesa, e l’abrogazione degli art. 415-bis, comma 5-bis, 5-ter, 5-quater, 5-quinquies e 5-sexies, disposizioni che, in precedenza, prevedevano l’intervento del Procuratore generale presso la Corte d'appello sulla richiesta di differimento della notifica dell'avviso di conclusione delle indagini.

D.Lgs. 19 marzo 2024, n. 31 – G.U. n. 67 del 20 marzo 2024

Premessa

Il D.Lgs. 19 marzo 2024, n. 31, attuando una previsione della legge delega n. 134/2021, ha “corretto” la “Riforma Cartabia”, occupandosi anche della disciplina delle indagini preliminari.

I correttivi apportati mirano a realizzare una semplificazione del meccanismo di risoluzione della stasi delle indagini e dei connessi strumenti dell’avocazione delle stesse da parte del Procuratore generale presso la Corte di appello, apparso fin da subito particolarmente complesso.

L’intervento normativo, in sintesi, è consistito:

- nella riformulazione dell’art. 412, comma 1, c.p.p.;

- nella eliminazione, nell’art. 415-bis, dei commi da 5-bis a 5-sexies;

- nella riformulazione dell’art. 415-ter c.p.p. in modo da concentrare in tale norma l’intera disciplina della risoluzione della stasi “patologica” del procedimento penale e quella dei diritti assicurati alle parti.

Il cd. termine di riflessione

All'esito delle indagini preliminari, come è noto, al pubblico ministero si pone una alternativa: esercitare l'azione penale o chiedere l'archiviazione. A tal proposito, scaduti i termini delle indagini preliminari, al pubblico ministero è riconosciuto un ulteriore lasso di tempo, un cd. termine di riflessione, entro il quale è tenuto a determinarsi.

Ai sensi dell’art. 407-bis, comma 2, c.p.p., infatti, il pubblico ministero esercita l'azione penale o richiede l'archiviazione entro tre mesi dalla scadenza del termine di cui all'art. 405, comma 2, c.p.p.

Se ha disposto la notifica dell'avviso della conclusione delle indagini preliminari, tuttavia, le determinazioni dell’organo pubblico devono intervenire entro tre mesi dalla scadenza dei termini di cui all'art. 415-bis, commi 3 e 4. Il termine è di nove mesi nei casi di cui all'art. 407, comma 2, c.p.p.

La previsione di tale termine si è posta in continuità con quanto previsto dall’art. 1, comma 30, della L. 23 giugno 2017, n. 103 che, accettando l’impossibilità pratica di privare il pubblico ministero di un periodo di riflessione dopo la scadenza delle indagini, lo aveva delimitato in tre mesi, così trasformando in fisiologico ciò che potrebbe apparire patologico, se non in contrasto con il canone costituzionale della ragionevole durata del processo.

L’art. 88-bis, comma 1, del D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, come modificato dal D.L. 31/10/2022, n. 162, convertito con modificazioni dalla L. 30 dicembre 2022, n. 199, peraltro, ha previsto che le disposizioni degli artt. 335-quater, 407-bis e 415-ter c.p.p. non si applicano nei procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore dello stesso decreto legislativo in relazione alle notizie di reato delle quali il pubblico ministero ha già disposto l'iscrizione nel registro di cuiall'art. 335 c.p.p. nonché in relazione alle notizie di reato iscritte successivamente, quando ricorrono le condizioni di connessione previste dall'art. 12 c.p.p. e, se si procede per taluno dei delitti indicati nell'art. 407, comma 2, c.p.p., anche quando ricorrono le condizioni previste dall'art. 371, comma 2, lett. b) e c), c.p.p.

Le modifiche in tema di avocazione delle indagini

Il decorso del termine di riflessione senza una determinazione del pubblico ministero costituisce una delle cause di avocazione delle indagini da parte del Procuratore generale presso la Corte d'appello.

La disciplina dell’avocazione è contenuta nell’art. 412 c.p.p., il cui comma primo è stato riformulato dal D.Lgs. 19 marzo 2024, n. 31, correttivo della “Riforma Cartabia”.

Il Procuratore generale presso la Corte di appello può disporre, con decreto motivato, l'avocazione delle indagini preliminari nei seguenti casi:

1) se il pubblico ministero non ha disposto la notifica dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari,

2) se non ha esercitato l'azione penale o richiesto l'archiviazione, entro i termini previsti dall’art. 407-bis, comma 2, c.p.p.

A queste due ipotesi se ne affiancano altre:

- Il Procuratore generale può disporre l’avocazione nel caso in cui sia stata rigettata la richiesta di differimentodel deposito della documentazione relativa alle indagini espletate formulata dal pubblico ministero. Quest’ultimo, infatti, può anche proporre al giudice per le indagini preliminari richiesta di differimento del deposito della documentazione relativa alle indagini espletate ex art. 415-ter comma 2, c.p.p. ove ricorra una delle condizioni previste da tale norma, purché tale istanza sia comunicata prima della scadenza dei termini di cui all'art. 407-bis, comma 2, c.p.p. In questo caso, se la richiesta di differimento fosse rigettata dal giudice per le indagini preliminari, il Procuratore generale può avocare le indagini;

- l’avocazione, inoltre, sempre ai sensi dell’art. 412, comma 1, c.p.p., può essere, altresì, disposta nei casi in cui il pubblico ministero non ha assunto le determinazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale entro il termine fissato dal giudice - su richiesta della persona sottoposta alle indagini o della persona offesa - ai sensi dell’art. 415-ter, comma 4, c.p.p. ovvero dal Procuratore generale, ai sensi dell’art. 415-ter, comma 5, primo periodo, c.p.p.

Ai sensi dell’art. 412, comma 2, c.p.p., poi, l’avocazione può essere disposta anche a seguito della comunicazione prevista dall'art. 409, comma 3, c.p.p. Si tratta del caso in cui il giudice per le indagini preliminari, ritenendo di non accogliere la richiesta di archiviazione formulata dal pubblico ministero, abbia fissato l'udienza. Della fissazione di tale udienza, il giudice deve dare comunicazione al Procuratore generale presso la Corte d'appello proprio per consentire l'esercizio dei poteri di avocazione.

Va segnalato, più in generale, che anche dopo il D.Lgs. n. 31/2024l’avocazione delle indagini preliminari per mancato esercizio dell’azione penale da parte del Procuratore generale è rimasta facoltativa. L’art. 22, comma 1, lett. g, del D.Lgs. n. 150/2022, come è noto, aveva modificato l’art. 412 c.p.p., trasformando l’avocazione delle indagini preliminari per mancato esercizio dell’azione penale da obbligatoria (“Il procuratore generale ... dispone”) a facoltativa (“Il procuratore generale ... può disporre”). Nel vigore della formulazione della norma prevedente dalla “Riforma Cartabia”, tuttavia, non si è mai dubitato dell’insussistenza di automatismi applicativi di un istituto che è sempre stato inteso quale facoltativo. In questi termini, del resto, si erano espresse, sia la risoluzione del Consiglio Superiore della Magistratura del 16 maggio 2018, sia i criteri orientativi in tema di avocazione adottati dal Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione il 24 aprile 2018.

Secondo il nuovo art. 412, comma 2-bis, c.p.p., il Procuratore generale svolge le indagini preliminari indispensabili e formula le sue richieste entro novanta giorni dal decreto di avocazione. Il termine per lo svolgimento delle indagini preliminari, che era stato fissato in trenta giorni nella precedente versione dell'art. 412, comma 1, c.p.p., pertanto, è stato aumentato a novanta giorni.

Tale disposizione prevede altresì che si applichino, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all’art. 415-ter, commi 1, 2, 3, e 4, c.p.p. sul cui contenuto si tornerà nel prosieguo di questa trattazione.

La riforma dell’art. 415-bis c.p.p.

L’art. 415-bis, comma 1, c.p.p., come è noto, stabilisce che il pubblico ministero, se non deve formulare richiesta di archiviazione, fa notificare alla persona sottoposta alle indagini e al difensore (nonché, quando si procede per i reati di cui agli artt. 572 e 612-bis c.p., anche al difensore della persona offesa o, in mancanza di questo, alla persona offesa) avviso della conclusione delle indagini preliminari.

Il decreto che contiene disposizioni correttive della “Riforma Cartabia” ha riformato questa norma, eliminando il riferimento iniziale ai commi 5-bis e 5-ter dello stesso art. 415-bis c.p.p.

Nello stesso art. 415-bis c.p.p., poi, i commi 5-bis, 5-ter, 5-quater, 5-quinquies e 5-sexies sono stati soppressi. Si tratta delle norme che prevedevano le competenze del Procuratore generale presso la Corte d'appello sulla richiesta di differimento della notifica dell'avviso di conclusione delle indagini. Tale attribuzione era stata oggetto di critiche perché non pareva pienamente corrispondente al ruolo e alle funzioni di questo organo nel sistema processuale. A seguito della integrale riscrittura dell’art. 415-ter c.p.p., come meglio si vedrà, è stato attribuito al GIP il compito di autorizzare il pubblico ministero a differire il deposito della documentazione relativa alle indagini.

Il risultato conseguito con la riforma, comunque, consiste in una notevole semplificazione perché l’intera disciplina dei rimedi avverso alla stasi del procedimento penale è stata concentrata nell’art. 415-ter c.p.p., il cui contenuto, come di seguito sarà illustrato, è stato integralmente riformulato.

La riformulazione dell’art. 415-ter c.p.p.: il deposito degli atti in caso di inerzia

L’art. 415-ter c.p.p., dunque, è stato sostituito integralmente dal D.Lgs. n. 31/2024 che ha corretto la “Riforma Cartabia”, con una nuova disposizione che regola la scadenza dei termini per l’assunzione delle determinazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale e i diritti e le facoltà dell’indagato e della persona offesa. In questa prospettiva, è stato modificato anche il titolo della disposizione.

Il pubblico ministero, innanzi tutto, è tenuto a depositare in segreteria la documentazione relativa alle indagini espletate nel caso mancata determinazione alla scadenza del termine cd. di riflessione.

Alla scadenza dei termini di cui all'art. 407-bis, comma 2, c.p.p., infatti, se il pubblico ministero non ha esercitato l'azione penale o richiesto l'archiviazione e non ha già disposto la notifica dell'avviso della conclusione delle indagini preliminari, la documentazione relativa alle indagini espletate è depositata in segreteria (art. 415-ter, comma 1, c.p.p.).

Alla persona sottoposta alle indagini e alla persona offesa che, nella notizia di reato o successivamente, abbia dichiarato di volere essere informata della conclusione delle indagini è immediatamente notificato avviso dell'avvenuto deposito della documentazione e della facoltà di esaminarla ed estrarne copia.

L'avviso contiene altresì l'indicazione della facoltà di cui al comma 4 della stessa norma e che consiste nella possibilità di attivare i poteri del giudice.

Copia dell'avviso è comunicata al Procuratore generale presso la Corte di appello. In questo modo, il Procuratore è posto in condizione di esercitare i poteri di avocazione.

La richiesta motivata di differimento del deposito

La legge delega 27 settembre 2021, n. 134 imponeva di prevedere “idonei meccanismi procedurali” volti a consentire alla persona sottoposta alle indagini e alla persona offesa, scaduto il termine dopo il quale la stasi diventa patologica, di avere cognizione degli atti di indagine, contemperando, tuttavia, tale diritto alla discovery con le “esigenze di tutela del segreto investigativo nelle indagini relative ai reati di cui all’articolo 407 del codice di procedura penale e di eventuali ulteriori esigenze di cui all’articolo 7, paragrafo 4, della direttiva 2012/13/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2012”.

Questo obiettivo di bilanciamento è stato realizzato, con il decreto legislativo in commento, attribuendo al pubblico ministero la possibilità di chiedere al GIP il differimento del deposito della documentazione relativa alle indagini espletate (mentre sono stati abrogati, come già segnalato, gli artt. 415-bis, commi da 5-bis a 5-sexies, che prevedevano l’intervento del Procuratore generale presso la Corte di appello che poteva autorizzare il pubblico ministero a differire la notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari).

Secondo l’art. 415-ter, comma 2, c.p.p., infatti, il pubblico ministero, prima della scadenza dei termini di cui all’art. 407-bis, comma 2, può presentare al giudice per le indagini preliminari richiesta motivata di differimento del deposito della documentazione relativa alle indagini espletate nei seguenti casi:

a) quando è stata richiesta l'applicazione della misura della custodia cautelare in carcere o degli arresti domiciliari e il giudice non ha ancora provveduto o quando, fuori dai casi di latitanza, la misura applicata non è stata ancora eseguita;

b) quando la conoscenza degli atti d'indagine può concretamente mettere in pericolo la vita o l'incolumità di una persona o la sicurezza dello Stato ovvero, nei procedimenti per taluno dei delitti indicati nell'art. 407, comma 2, c.p.p. arrecare un concreto pregiudizio, non evitabile attraverso la separazione dei procedimenti o in altro modo, per atti o attività di indagine specificamente individuati, rispetto ai quali non siano scaduti i termini di indagine e che siano diretti all'accertamento dei fatti, all'individuazione o alla cattura dei responsabili o al sequestro di denaro, beni o altre utilità di cui è obbligatoria la confisca;

c) quando taluna delle circostanze indicate alle lett. a) e b) ricorre in relazione a reati connessi ai sensi dell’art. 12 c.p.p. o collegati ai sensi dell’art. 371, comma 2, c.p.p. per i quali non sia ancora decorso il termine previsto dall’art. 407-bis, comma 2, c.p.p.

Ai sensi dell’art. 415-ter, comma 3, c.p.p., il giudice per le indagini preliminari decide entro venti giorni dal deposito della richiesta del pubblico ministero.

Al fine di tutelare la segretezza delle indagini, le parti non vengono avvisate della richiesta di differimento avanzata dal pubblico ministero, né del conseguente decreto emesso dal GIP, sia di rigetto, sia di accoglimento.

Se la richiesta di differimento fosse rigettata, come è stato già indicato, il Procuratore generale presso la Corte di appello, ai sensi dell'art. 412, comma 1, c.p.p., può procedere all'avocazione del procedimento.

Il Procuratore generale, peraltro, non è considerato diversamente rispetto alle parti private. Egli, pertanto, non è informato della richiesta di differimento del deposito degli atti e viene a conoscere del procedimento solo a seguito della trasmissione dell’elenco di cui all’art. 127 disp. att. c.p.p. Modificando tale norma, infatti, è stato previsto che debba essere inserito nell’elenco previsto dall’art. 127 disp att. il procedimento per il quale è intervenuto il rigetto da parte del GIP della richiesta di differimento del deposito degli atti delle indagini. Solo in questo momento è posto in condizione di valutare l’esercizio del potere di avocazione.

Se ne ricorrono i presupposti per il differimento del deposito della documentazione delle indagini, invece, il giudice per le indagini preliminari lo autorizza con decreto motivato per il tempo strettamente necessario e, comunque, per un periodo complessivamente non superiore a sei mesi o, se si procede per taluno dei delitti indicati nell'art. 407, comma 2, c.p.p. non superiore a un anno.

Non sembra chiaro, peraltro, quale sia il rimedio previsto nel caso di inosservanza del provvedimento del GIP.

Parrebbe corretto ritenere che debba essere attivato il Procuratore generale presso la Corte d'appello, anche se non è esplicitamente prevista, in questo caso, una ipotesi di avocazione.

Il Procuratore generale presso la Corte di appello, però, ben potrebbe non essere a conoscenza del procedimento nel quale è stato adottato il provvedimento del GIP di differimento del deposito della documentazione delle indagini. Riformulando l'art. 127 disp. att. c.p.p., infatti, è stato modificato il comma 1, lett. b). La norma, pertanto, non prevede più l’inserimento nell’elenco di procedimenti da trasmettere al Procuratore generale di quelli nei quali “il pubblico ministero non ha assunto delle determinazioni sull'azione penale nei termini di cui all'art. 415-ter, comma 3, primo e secondo periodo del codice”, ma ai procedimenti nei quali sono stati adottati i provvedimenti “fissati ai sensi dell'articolo 415-ter, comma 4 e 5”.

I diritti dell’indagato e della persona offesa nel caso di stasi patologica: l’intervento del giudice

Alla scadenza del termine di cd. riflessione di cui all’art. 407-bis, comma 2, c.p.p., se il pubblico ministero è restato inerte, cioè non ha esercitato l'azione penale, né ha richiesto l'archiviazione, la persona sottoposta alle indagini e la persona offesapossono chiedere al giudice per le indagini preliminari di valutare le ragioni del ritardo e, nel caso in cui non siano giustificate, di ordinare al pubblico ministero di assumere le determinazioni inerenti all’esercizio dell'azione penale.

Sulla richiesta il giudice, sentito il pubblico ministero, provvede nei venti giorni successivi.

L’istanza è comunicata al Procuratore generale presso la Corte di appello perché ne abbia conoscenza ed eviti di procedere all’avocazione o di ordinare al Procuratore della Repubblica di assumere, ai sensi dell’art. 415-ter, comma 5, c.p.p., le determinazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale.

Il giudice ordina al pubblico ministero di assumere le determinazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale entro un termine non superiore a venti giorni anche quando non ha autorizzato il differimento del deposito della documentazione delle indagini ai sensi dell’art. 415-ter, comma 2, c.p.p. “o non ricorrono le esigenze indicate nel medesimo comma”. L’inserimento di tale inciso nella disposizione, invero, appare poco chiaro perché la mancata autorizzazione al differimento del deposito pare costituire la conseguenza proprio del fatto che non ricorrono le esigenze indicate tassativamente nell’art. 415-ter, comma 2, c.p.p.

Quando, ai fini dell’esercizio dell’azione penale, deve essere notificato l’avviso di conclusione delle indagini di cui all’art. 415-bis c.p.p., comunque, nel computo del termine non superiore a venti giorni assegnato dal giudice non si tiene conto del tempo intercorso tra la notifica dell’avviso e la scadenza dei termini di cui ai commi 3 e 4 dell’art. 415-bis.

La copia del decreto è comunicata al Procuratore generale presso la Corte di appello e notificata alla persona che ha formulato la richiesta.

L’intervento ordinatorio del Procuratore generale nel caso di stasi patologica

Secondo l’art. 415-ter, comma 5, c.p.p., alla scadenza dei termini di cui all'art. 407-bis, comma 2, se il pubblico ministero non ha esercitato l'azione penale o richiesto l'archiviazione, il Procuratore generale presso la Corte d’appello, può ordinare, con decreto motivato, al Procuratore della Repubblica di assumere le determinazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale entro un termine non superiore a venti giorni.

Tale potere ordinatorio, però, può essere esercitato se il Procuratore generale non dispone l’avocazione delle indagini ai sensi dell’art. 412, comma 1, c.p.p. A tale diversa scelta, difatti, egli è tenuto nel caso in cui, ai fini delle determinazioni sia indispensabile lo svolgimento di indagini preliminari.

Il potere di ordinare l’assunzione delle determinazioni non si applica quando:

a) il pubblico ministero ha formulato richiesta di differimento del deposito della documentazione relativa alle indagini espletate ai sensi dell’art. 415-ter, comma 2, c.p.p. e la stessa non è stata rigettata;

b) è stata già presentata l’istanza della persona sottoposta alle indagini o della offesa, con la quale, ai sensi dell’art. 415-ter, comma 4, c.p.p. si chiede al giudice per le indagini preliminari di valutare le ragioni del ritardo del pubblico ministero e, nel caso in cui non siano giustificate, di ordinare allo stesso di assumere le determinazioni inerenti all'esercizio dell'azione penale.

La riforma dell’art. 127 disp. att. c.p.p.

Nell’ambito dei correttivi apportati alle disposizioni del codice di rito per semplificare le regole per la risoluzione della stasi delle indagini è stata anche prevista una diversa cadenza e composizione dell’elenco dei procedimenti da trasmettersi periodicamente al Procuratore generale da parte del Procuratore della Repubblica ai sensi dell’art. 127 disp. att. c.p.p. Si tratta della norma che prevede i meccanismi per consentire al Procuratore generale presso la corte d’appello di effettuare la vigilanza e di esercitare i poteri riconosciutigli dal nuovo impianto normativo. Questa disposizione era stata ritenuta di ardua attuazione, sia perché prevedeva una comunicazione settimanale, sia per la mancata istituzione di un registro informatico nel quale iscrivere gli elenchi trasmessi indispensabile perché alla trasmissione di tali elenchi seguisse una gestione non fittizia degli stessi.

A seguito della riforma del 2023, la segreteria del Procuratore della Repubblica deve trasmettere non più ogni settimana, ma ogni mese al Procuratore generale presso la Corte di appello i dati relativi:

a) ai procedimenti nei quali il pubblico ministero non ha esercitato l’azione penale o richiesto l’archiviazione entro i termini previsti dall’art. 407-bis, comma 2, c.p.p., salvo che il pubblico ministero abbia formulato richiesta di differimento ai sensi dell’art. 415-ter, comma 2, c.p.p.; in tale ultima ipotesi, i procedimenti sono inseriti nell’elenco solo in caso di rigetto della richiesta;

b) ai procedimenti nei quali il pubblico ministero non ha assunto le determinazioni sull’azione penale nei termini fissati ai sensi dell’art. 415-ter, commi 4 e 4-bis, c.p.p.

Sembrano essere rimaste inalterate peraltro le difficoltà operative segnalate da più parti, circa in particolare l'accesso ai registri informatici da parte delle Procure generali, e rimane anche aperto il tema della derogabilità, in base ad intese distrettuali, della regola per la quale la trasmissione di tali elenchi deve avvenire ogni mese.

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