Il concorso tra le bancarotte da false scritture contabili e da falso in bilancio
Con la sentenza n. 18322/2020 la Corte di Cassazione ribadisce il principio di diritto per cui la bancarotta fraudolenta documentale si configura in ipotesi di omessa o irregolare tenuta dei libri e delle scritture contabili (nella cui nozione non rientra il bilancio) ove tali condotte impediscano o rendano difficoltosa la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari della società fallita, mentre eventuali omissioni nei bilanci, sussistendone i presupposti, integrano l’autonoma fattispecie della bancarotta impropria da reato societario, di modo che i detti reati possono eventualmente concorrere. Ne scaturiscono rilevanti effetti processuali, per tutti i soggetti processuali; in particolare, se la pubblica accusa è onerata di una contestazione puntuale degli elementi costitutivi della bancarotta fraudolenta impropria da falso in bilancio (reato di danno e di evento), non potendo far affidamento sul potere di riqualificazione giuridica ex art 521, comma 1, c.p.p., la difesa è parimenti tenuta a contrastarne espressamente anche l'idoneità del mendacio bilancistico (scaturente dalla trasposizione di false poste contabili) a contribuire a cagionare il dissesto societario.
di Fabio Di Vizio - Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Firenze
Il caso Gli amministratori di una s.r.l. presentavano ricorso per cassazione avverso la sentenza che aveva rideterminato la durata delle pene accessorie applicate in riferimento ai delitti di bancarotta fraudolenta impropria documentale, di cui agli artt. 223, comma 1, e 216, comma 1, n. 2 l. fall., e da falso in bilancio, di cui agli artt. 223, comma 2, n. 1, l. fall. e 2621 c.c.; di tali reati erano stati riconosciuti responsabili i ricorrenti per avere omesso di annotare, nelle scritture contabili della società fallita, i resi negli anni 2004 e 2005 e, viceversa, iscritto un credito inesistente nei confronti di altra impresa, così anche alterando il risultato del bilancio. I ricorrenti denunciavano di illogicità la sentenza di merito, sotto il profilo della conclusione raggiunta in ordine alla non veridica esposizione dei ricavi della società fallita; in particolare se, in effetti, dai ricavi non erano stati detratti i resi degli anni 2004 e 2005, impiantando un sistema di contabilizzazione ritardata di questi ultimi e, di riflesso, era stato alterato il risultato dei diversi anni di esercizio, una volta trasposte le corrispondenti evidenze contabili nel bilancio, era altresì vero che si sarebbe dovuto anche scomputare dai ricavi le note di credito per restituzioni emesse in ciascuno degli anni precedenti. La decisione della Cassazione I giudici di legittimità, con la sentenza n. 18322/2020, depositata il 16/6/2020, hanno disatteso la doglianza riepilogata. Anzitutto, è stato ribadito il principio di diritto per il quale il delitto di bancarotta fraudolenta documentale si configura in ipotesi di omessa o irregolare tenuta dei libri e delle scritture contabili (nella cui nozione non rientra il bilancio) ove tali condotte impediscano o rendano difficoltosa la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari della società fallita, mentre eventuali omissioni nei bilanci, sussistendone i presupposti, integrano la fattispecie di bancarotta impropria da reato societario, di modo che i detti reati possono eventualmente concorrere (Cass. Pen., Sez. 5, n. 47683 del 04/10/2016, Robusti e altro, Rv.268503). In secondo luogo, è stata ribadita l’autonomia dell'ipotesi bancarotta fraudolenta impropria da falso in bilancio seguito da fallimento della società di cui all'art. 223, comma 2, n. 1, l. fall., distinta sia dal falso in bilancio previsto dall'art. 2621 c.c. (reato sussidiario punito a prescindere dall'evento fallimentare), sia dalla bancarotta documentale propria concernente ipotesi di falsificazione di libri o di altre scritture contabili (Cass. Pen., Sez. 5, n. 7293 del 28/05/1996, Schillaci, Rv. 205987). I ricorrenti avevano contestato solo l’idoneità dell'omessa contabilizzazione dei resi relativi agli anni 2004 e 2005 ad alterare la misura dei ricavi della società fallita e, quindi, la capacità decettiva delle condotte loro ascritte rispetto alla veridica rappresentazione del risultato dell'esercizio dell'attività di impresa; ma il delitto di bancarotta fraudolenta documentale era incontroverso, non essendo discussa né l'omessa contabilizzazione dei resi nelle scritture contabili societarie, né l’esistenza degli stessi. La contestazione svolta avrebbe avuto pregio, invece, in riferimento alla bancarotta impropria da falso in bilancio se avesse posto in discussione, come non era avvenuto, l'idoneità del presunto mendacio bilancistico a contribuire a cagionare il dissesto societario (Cass., Sez. un., n. 25887 del 26/03/2003, Giordano e altri, Rv. 224605; Cass. Pen., Sez. 5, n. 34622 del 08/10/2002, Benzi, Rv. 222432). I rapporti tra la contabilità e il bilancio: scienza giuridica e scienza della contabilità aziendalistica La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, conferma il proprio tradizionale insegnamento circa la natura del bilancio ai fini della configurabilità dei reati fallimentari, escludendo che lo stesso rappresenti un libro o una scrittura contabile di rilievo ai fini del reato di bancarotta fraudolenta documentale (sul punto cfr. Cass. Pen., Sez. 5, n. 47683 del 04/10/2016, Robusti e altro, Rv.268503; Cass. Pen., n. 42568/2018, Rv. 273925 – 03). Da tale premessa la Cassazione trae anche l’ulteriore conseguenza circa l’ammissibilità del concorso tra quest’ultimo reato e autonomo di bancarotta impropria da falso in bilancio, al ricorrere delle altre condizioni di configurabilità di quest’ultimo (cfr. già Cass Pen., Sez. 5, n. 7293/1996, Schillaci, Rv. 20598701). Occorre premettere che l’esclusione della riconducibilità del bilancio al novero delle scritture contabili di rilievo per la bancarotta documentale è tanto stabile nell’esperienza della giurisprudenza di legittimità (cfr., da ultimo, Cass. pen., Sez. 5, n. 16968/2020, Cass. Pen., 6772/2020, Cass. Pen., 49141/2019, Cass. Pen. 47580/2019) quanto l’opinione di segno contrario maturata dalla scienza della contabilità aziendale, che, al contrario, ai propri fini, riferisce stabilmente al bilancio natura di fondamentale scrittura contabile. In questo ordine di analisi, infatti, la contabilità è il sistema di determinazione ed espressione, in linguaggio matematico, dei fatti e delle operazioni aziendali; si tratta di una componente del più vasto processo di rilevazione economico-patrimoniale dei fenomeni aziendali (sotto i profili qualitativi e quantitativi), a sua volta fase del processo informativo volto all’acquisizione, conservazione e trasmissione dei dati (esterni o interni all’impresa), necessari per la direzione e il controllo dell’impresa. Ciò posto, resta indubbio che tra le scritture contabili ed il bilancio vi sia, infatti, un’identitaria connessione funzionale, che spiega la ricomprensione di quest’ultimo tra le prime. La contabilità generale identifica proprio il preordinato processo organico e continuo di rilevazione, intesa come «il sistema di determinazione ed espressione, in linguaggio matematico, dei fatti e delle operazioni aziendali», la cui finalità è rappresentata dalla redazione del bilancio di esercizio, i cui dati derivano dalle cifre della contabilità (COLOMBO, Il bilancio di esercizio, in Tratt. Colombo-Portale, VII, t. 1, Torino, 1994, 76). Per meglio spiegarlo basti considerare che le scritture contabili sono l’insieme della documentazione scritta inerente l'impresa, comprensiva dei documenti che contengono le registrazioni contabili e di quelli di supporto, quali lettere, telegrammi, e-mail, fatture, contratti, etc. (RACUGNO, Introduzione alla contabilità d'impresa, in Riv. dir. comm., 2012, I, 269); quanto alla funzione, esse recepiscono i fatti di gestione, cioè le operazioni aziendali poste in essere dall'imprenditore nelle imprese individuali, e dagli amministratori nelle imprese collettive, dai quali possono derivare variazioni numerarie positive o negative; in dettaglio, rilevano, al momento della loro manifestazione finanziaria, la consistenza quantitativa e monetaria dei fatti di gestione, facendo risultare, attraverso il susseguirsi dei numeri, le operazioni poste in essere, premessa della rilevazione contabile intesa come raccolta dei valori e relativa rappresentazione formale. Omettendo riferimenti di maggior dettaglio, mentre le scritture contabili (in senso stretto) «sono dirette a rappresentare quantitativamente le singole operazioni economiche e finanziarie e le vicende, positive e negative, degli elementi del patrimonio dell’imprenditore», le scritture giuridiche (come la corrispondenza commerciale, le lettere, i telegrammi e le fatture, di cui l’imprenditore deve tenere l’originale di quelle ricevute e copia di quelle inviate) «riflettono invece le vicende di carattere giuridico o suscettibili di rilevanza giuridica dell’impresa» (BONFANTE-COTTINO, L’imprenditore, in Trattato di dir. comm. diretto da Cottino, Vol. I, Padova, 2001, 582 ss.). A fronte, poi, di documenti di primo grado (che documentano direttamente i fatti gestionali), ne esistono di secondo grado (il libro giornale e il libro degli inventari) e di terzo grado, come appunto il bilancio. A ben considerare anche il libro degli inventari è scrittura contabile di terzo grado, poiché le registrazioni in esso contenute derivano dalle scritture contabili di secondo grado, quali il libro giornale e il libro mastro (così BOCCHINI, Diritto della contabilità delle imprese. 1. Scritture contabili, Torino, 2008, 125). Il libro che comprende l’inventario nonché il bilancio ed il conto dei profitti e delle perdite, infatti, offre la rappresentazione periodica della situazione patrimoniale ed economica dell’impresa nonché dei suoi risultati; si apre con l’inventario dei beni all’inizio dell’esercizio dell’impresa e, successivamente, riporta i singoli inventari annuali (o per periodi più brevi) che si chiudono (art. 2217, comma 2, c.c.) con il bilancio e il conto dei profitti e delle perdite, relativo a ciascun esercizio. Le varie scritture contabili sono caratterizzate, in ogni caso, da un intimo collegamento: in particolare, tra di esse esiste «una compenetrazione interna per cui l’una è strumentale all’altra e tutte insieme consentono di offrire elementi di comprensione e valutazione del patrimonio e delle vicende aziendali (BONFANTE-COTTINO, op. cit., 581). La rilevazione ha per oggetto la documentazione che accompagna i fatti di gestione, in quanto la contabilità non registra fatti materiali e accadimenti fisici, bensì i documenti che li evidenziano. Anche il bilancio d'esercizio (cd. bilancio ordinario), sotto questo profilo, è comunemente classificato fra le scritture contabili, dovendo esporre ordinatamente e periodicamente, in sintesi, dai dati rilevati nelle scritture contabili, i valori del reddito (conto economico) e del capitale (stato patrimoniale); a questi documenti – che considerano la realtà aziendale, rispettivamente, nel suo aspetto statico e dinamico e che sono costituiti da prospetti numerici - si aggiungono, per le società di capitali, la nota integrativa, redatta in forma narrativa con funzione esplicativa dei primi due, e il rendiconto finanziario. Il collegamento tra il bilancio e le scritture contabili costituisce il passaggio nodale nel sistema della contabilità aziendale, in quanto il primo ha la funzione di esporre, in sintesi, i dati contenuti nelle seconde fra le quali lo stesso è annoverato, costituendone la risultanza. Più esattamente, il bilancio di esercizio, elaborato grazie al supporto tecnico delle altre scritture contabili, ha funzione informativa interna, come strumento di autocontrollo per l’imprenditore, ed esterna, per i creditori ed i terzi; inoltre, costituisce lo strumento di accertamento del risultato di esercizio e – limitatamente alle società di persone e alle società di capitali – per la distribuzione degli eventuali utili. In termini a questo punto riepilogativi, l’itinerario contabile segue questa sequenza: - (i) accadimento dei fatti di gestione; (ii) rilevazione nelle scritture contabili, ovvero «trascrizione» dei documenti evidenzianti i fatti di gestione; (iii) integrazione delle scritture contabili, con le scritture di assestamento o di rettifica dei saldi contabili (es. calcolo dei ratei e dei risconti, determinazione delle quote di ammortamento, rettifica del valore nominale dei crediti, valutazione del magazzino, etc.) propedeutiche alla costruzione del bilancio annuale, consistenti, fra l'altro, nella rilevazione di quei fatti di gestione che, pur di competenza economica dell'esercizio, in fase di chiusura non risultano ancora iscritti in contabilità per mancanza della correlata documentazione giustificativa; ai fini della predisposizione del bilancio d'esercizio queste scritture confermano la regola che non possono figurare nel bilancio «poste» o «voci» non rilevate in contabilità, poiché «solo dai dati registrati nel libro giornale, e raggruppati in distinti conti nel mastro, è possibile desumere gli effetti economici e patrimoniali delle operazioni compiute nell'esercizio e sintetizzati nel bilancio» (COLOMBO, Il bilancio di esercizio, cit., 76); (iv) redazione del bilancio di esercizio, quale corretta sintesi delle risultanze delle scritture. I rapporti tra la bancarotta impropria documentale e quella societaria da falso in bilancio Venendo all’esperienza giurisprudenziale, deve censirsi che, nonostante la stabilità dell’insegnamento già espresso, non è raro che la Corte regolatrice sia chiamata ad intervenire per precisare che il bilancio non costituisce scrittura contabile di rilievo per la fattispecie penale prevista dall’art. 216, comma 1, n. 2, l. fall. e che sussistono, piuttosto, le condizioni per ipotizzare un concorso (materiale) con la fattispecie della bancarotta da reato societario ex art. 223, comma 2, n.1, l. fall, 2621 c.c., al ricorrere delle altre condizioni di configurabilità di tale fattispecie. La motivazione più ricorrente dell’esclusione ridetta è riconnessa al fatto che il bilancio non costituisce scrittura contabile quanto, piuttosto, la rappresentazione delle risultanze delle scritture contabili; ovvero sarebbe la sua natura di documento contabile di terzo grado, seguendo la sistematica classica della contabilità aziendale che si anticipava, ad ostacolarne l’inquadramento tra gli elementi tipici della fattispecie penale (riservata a documenti di primo e di secondo grado, in quanto atti alla documentazione di fatti di gestione). In alcuni casi, poi, si aggiunge anche il rilievo che l’acquisizione del bilancio presso l'organo deputato a riceverne il deposito non costituisce attività di particolare difficoltà idonea a determinare l'esistenza della bancarotta fraudolenta documentale (Cass. Pen., Sez. 5, n. 25438/2012). Considerazione che, per vero, non esclude in assoluto l’ipotizzabilità di un ostacolo alla ricostruzione dei fatti gestionali connessa alla mendacità o omissivi di poste di rilievo bilancistico. Merita ricordare, in breve, per quanto rileva ai fini di questo commento, che l’articolo 216, comma 1, n. 2, l. fall., delinea distinte figure di bancarotta fraudolenta documentale. Accanto ad una forma specifica (per sottrazione, distruzione o falsificazione, in tutto o in parte, dei libri o delle altre scritture contabili, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori), se ne delinea una generica (per tenuta dei libri o delle altre scritture contabili in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari). Alla prima figura, poi, in via giurisprudenziale, è stata equiparata l’ipotesi di omessa tenuta dall'inizio della documentazione contabile (Cass. Pen., Sez. 5, n. 47923/2014, Rv. 261040; Cass. Pen., n. 8369/2014, Rv. 259038). Tali fattispecie penali completano il quadro delle forme di tutela della fedeltà della rappresentazione contabile, funzionale a favorire l’esatta ricostruzione della realtà economica dell’impresa e delle masse fallimentari, cui naturalmente contribuiscono anche altre disposizioni penalmente presidiate. Si consideri, ad esempio, l’obbligo del deposito dei bilanci e delle scritture contabili e fiscali obbligatorie, nonché dell’elenco dei creditori ex artt. 16 n. 3 e 220 L. fall., ovvero quello della tenuta regolare o completa dei libri e delle altre scritture contabili prescritti dalla legge, durante i tre anni antecedenti alla dichiarazione di fallimento ovvero dall'inizio dell'impresa, se questa ha avuto una minore durata (arg. ex art. 217, comma 2, l. fall). Tali ipotesi delittuose sono sostenute da una comune «concezione sociale dell'impresa: i documenti e le altre scritture contabili non costituiscono infatti soltanto un fatto interno di essa, ma sono destinati anche a tutelare i terzi che con l'impresa vengono a contatto» (Cass. Pen., Sez. 5, n. 9426/1984, Rv. 166402). E’ questa la ragione per cui il delitto di bancarotta fraudolenta documentale «è configurabile anche quando le violazioni o le irregolarità contabili sono state commesse per occultare altri fatti costituenti reato, non potendosi invocare al riguardo l'effetto scriminante del diritto di difesa» (Cass. Pen., Sez. 5, n. 18962/2012, Rv. 252524). E’ inoltre «configurabile il delitto di bancarotta fraudolenta documentale nella condotta di un ex amministratore di società dichiarata fallita che non consegna la documentazione contabile al curatore per evitare che la stessa sia utilizzata in suo pregiudizio in un processo penale già in corso, posto che il principio del "nemo tenetur se detegere" comporta la non assoggettabilità ad atti di costrizione tendenti a provocare un'autoincriminazione, ma non anche la possibilità di violare regole di comportamento poste a tutela di interessi non legati alla pretesa punitiva» (Cass. Pen., Sez. 5, n. 9746/2015, Rv. 262941). La condotta della falsificazione include ogni ipotesi di falsità, anche ideologica, dei documenti contabili (Cass. Pen., Sez. 5, del 17/12/2010, dep. 28/01/2011, Clementoni, Rv. 249267) purché concretamente idonea a comprometterne la funzione penalmente tutelata, ovvero in quanto atta a pregiudicare effettivamente la ricostruzione dell'andamento contabile della fallita e la garanzia che tale ricostruibilità offre ai creditori della stessa. In tal senso, la mera esposizione di costi fittizi sfornita della ricordata attitudine non integra il reato (Cass. Pen., Sez. 5, n. 41051/2014, Rv. 260773), diversamente dalla violazione dei criteri di tecnica contabile nella redazione di documenti societari (Cass. Pen., Sez. 5, n. 51127/2014, Rv. 261738), o dalla violazione del principio di continuità delle scritture di cui all'art. 2216 c.c., in quanto impediscano la ricostruzione del patrimonio della società (Cass. Pen., Sez. 5, n. 49593/2014, Rv. 261344). Nella bancarotta documentale generica, il reato è integrato non solo quando la ricostruzione del patrimonio si renda impossibile per il modo in cui le scritture contabili sono state tenute, ma anche quando gli accertamenti, da parte degli organi fallimentari, siano stati ostacolati da difficoltà superabili solo con particolare diligenza (Cass. Pen., Sez. 5, n. 45174/2015, Rv. 265682; Cass. Pen., n. 21588/2010). In tal senso, la ricostruzione aliunde della documentazione non esclude la bancarotta fraudolenta documentale, ma, sovente, la dimostra (Cass. Pen., Sez. 5, n. 2809/2015, Rv. 262588). Per un corretto inquadramento delle condotte contabili omissive (del tipo di quelle della sentenza in commento), va considerato che l'imprenditore non può certo, al contempo, omettere di istituire i libri contabili e tenerli in «guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio»; quest’ultima condotta, infatti, presuppone l'inattendibilità fraudolentemente provocata di scritture effettivamente esistenti. La prospettazione dell’omessa tenuta delle scritture contabili per omesso aggiornamento di esse, piuttosto, identifica un fatto riconducibile allo schema della bancarotta documentale generica, che, assieme all’istituzione delle scritture contabili, implica le note connotazioni modali della condotta ed il dolo generico (Cass. Pen., Sez. 5, n. 36823/2016; Cass. Pen., n. 11115/2015, Rv. 262915). Va ricordato, ancora, anche che l'oggetto materiale del reato di bancarotta fraudolenta documentale può essere rappresentato da qualsiasi documento contabile, relativo alla vita dell’impresa, dal quale sia possibile conoscere i tratti della sua gestione, diversamente da quanto previsto per l'ipotesi di bancarotta semplice documentale in relazione alla quale l'oggetto del reato è individuato nelle sole scritture obbligatorie (Cass. Pen., Sez, 5, n. 44886/2015, rv. 265508-01; Cass. Pen., n. 22593 del 20 aprile 2012, Pupillo, Rv. 252973; Cass. Pen., n. 8081 del 4 luglio 1991, Minuto, Rv. 188044). Ciò in sintonia con la ratio dell'incriminazione, incentrata sull'effettiva e non solo formale possibilità di conoscere i tratti della gestione d'impresa, tenendo conto di qualsiasi strumento che avrebbe potuto consentire, qualora fosse stato regolarmente tenuto o conservato, l'esame della gestione, come i partitari (Cass. Pen., Sez. 5, n. 22593/2012, Rv. 252973). Aspetto che, detto per inciso, in sé non condurrebbe ad una esclusione del bilancio. Non costituiscono oggetto materiale del delitto i libri sociali, specificamente disciplinati dall'art. 2421 c.c., che rappresentano fatti relativi all'organizzazione interna dell'impresa e non il possibile tramite della ricostruzione del movimento degli affari, salvo che la loro falsificazione incida direttamente ed immediatamente sulla rappresentazione contabile dei fatti di gestione. Onde, la falsificazione del verbale del consiglio di amministrazione non integra l'art. 216, comma 1, n. 2 della legge fallimentare, salvo il caso di incidenza diretta sull'alterazione del quadro contabile. La connessione identitaria con la ricostruzione dei fatti di gestione aziendale ha riflessi anche sulla configurazione del dolo (generico) della bancarotta fraudolenta documentale, che richiede, almeno nella figura generica, la mera consapevolezza che la confusa tenuta della contabilità può rendere impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio (Cass. Pen., Sez. 5, n. 5237/2014, Rv. 25898201; Cass. Pen., n. 21872/2010, Rv. 24744401). Diversamente, nell’ipotesi di bancarotta documentale specifica è necessario il dolo specifico, consistente nello scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori (Cass. Pen., sez. 5, 13 ottobre 1993, Trombetta, Rv. 195896; Cass. Pen., n. 11279/2010, Rv. 246370; Cass. Pen., n. 1137 del 17/12/2008 Rv. 242550). Venendo al delitto di bancarotta impropria societaria, la riforma del 2002 ne ha operato una significativa trasformazione, sia per la diversa elencazione dei reati presupposto (i nuovi artt. 2621, 2622, 2626, 2627, 2628, 2629, 2632, 2633, 2634 c.c., tutti funzionalmente connessi alla tutela patrimoniale dei creditori) che per l’espressa previsione di un collegamento causale tra la loro realizzazione ed il dissesto societario. Il delitto di bancarotta fraudolenta impropria è oggi strutturato come delitto doloso di danno (non più di pericolo presunto) e come reato complesso di evento, rispetto al quale un reato societario tra quelli espressamente previsti dal legislatore ed assunto come elemento costitutivo deve essere causa o concausa del dissesto societario; il momento consumativo del reato resta la dichiarazione di fallimento. Dunque, non opera più l’automatica trasformazione dei reati societari presupposti in bancarotta fraudolenta per il solo fatto di essere seguiti dal fallimento della società, a prescindere da ogni collegamento di ordine causale e psicologico; i reati societari, piuttosto, vengono a configurarsi quali condotte del delitto fallimentare, causalmente dirette a provocare il dissesto dell’imprenditore. Se in precedenza assumeva rilievo la sola idoneità della condotta a rappresentare falsamente le condizioni economiche della società, nella nuova configurazione, invece, assume rilievo soprattutto la sua idoneità a contribuire al dissesto dell'impresa. E’ evidente, poi, la ragione per la quale il legislatore ha preferito identificare come evento il dissesto finanziario anziché la dichiarazione di fallimento: senza dubbio solo il primo può assumere il ruolo di evento in senso naturalistico della fattispecie e non anche il secondo, non essendo possibile tracciare un rapporto causale tra le condotte incriminate e la sentenza dichiarativa del fallimento (sul punto Cass. Pen., n. 37555/2015). Se in passato si affermava che, verificatosi il fallimento, il fatto di cui all'art. 2621 c.c. restava assorbito nel reato di bancarotta impropria (Cass. Pen., Sez. 5, n. 7293/1996, Rv. 20598701), l’affermazione deve essere ora calibrata alla luce della nuova formulazione delle norme che prevedono i delitti di false comunicazioni sociali e di bancarotta fraudolenta impropria "da reato societario", ad opera, rispettivamente, degli articoli 1 e 4 del d.lgs. 11 aprile 2002,n.61; tali norme, senza abolire i reati precedentemente contemplati, hanno comportato una successione di leggi con effetto parzialmente abrogativo in relazione a quei fatti, commessi prima dell'entrata in vigore del citato decreto legislativo, che non siano riconducibili alle nuove fattispecie criminose (Cass., Sez. U, n. 25887/2003, Giordano e altri, Rv. 224605 – 01; difforme: Cass. Pen., Sez. 5, n. 34622/2002, Rv. 222432- 01). In difetto di nesso causale, comunque, resta ferma la configurabilità, in concreto, dell'ipotesi residuale del falso in bilancio, in quanto fattispecie generale rispetto a quella della bancarotta impropria (Cass. Pen., Sez. 5, n. 34622/2002; Cass. Pen., n. 21535/2002; diff. Cass. Pen., Sez. 5, n. 34621/2002). Quanto al nesso causale tra l’attività illecita e il dissesto societario, secondo l’indirizzo giurisprudenziale stabile, la formulazione dell’art. 223, comma 2, n. 1, l. fall. non richiede che il fatto integrante il reato presupposto sia stato l’unico a determinare lo stato di decozione della società, ben potendo essere stato uno dei fattori concausali. Per consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità il reato ex art. 223, comma 2, n. 1, l. fall., sussiste anche nell'ipotesi in cui la condotta degli autori abbia aggravato una situazione di dissesto già esistente (Cass. Pen., Sez. 5, 19806/2003, Negro, Rv. 224947; Cass. Pen., n. 8413/2013, Besurga, Rv. 259051; Cass. Pen., n. 17021/2013, Garuti, Rv. 255090; Cass. Pen., n. 28508/2013, Mannino, Rv. 255575; Cass. Pen., n. 42811/2014, Ferrante, Rv. 261759; Cass. Pen., n. 42272/2014, Alfano, Rv. 260394; Cass. Pen., n. 15613/2015, Geronzi, n. m.; Cass. Pen., n. 37555/2015, Romano, n.m.). A tale conclusione conduce il dato letterale della norma incriminatrice che individua le condotte rilevanti in quelle che abbiano anche "concorso a cagionare" il dissesto e la considerazione della naturale progressività dei fenomeni determinativi del dissesto di un'impresa (Cass. Pen., n. 37555/2015). Quanto al primo punto, rilevano anche condotte che non abbiano da sole determinato, ma, come testualmente previsto, abbiano "concorso" a cagionare il dissesto, sia aggravando l'effetto di cause preesistenti, sia inserendosi in una serie di fattori intervenuti anche successivamente. Quanto al secondo aspetto, la situazione che viene in conto è il "dissesto" come effettivamente concretizzatosi al momento della formale apertura della procedura concorsuale, rimanendo dunque irrilevante che al momento della consumazione della condotta e della produzione dei suoi effetti già fosse in atto una situazione di dissesto sulla quale la medesima condotta incide solo aggravandola (così, espressamente, Cass. Pen., Sez. 5, n. 15613/2015, Geronzi, cit.); ciò che rileva è lo stato di dissesto penalmente rilevante, cioè quello che accertato con la sentenza di fallimento e non semplicemente lo stato di decozione dell'impresa, in assenza di un provvedimento giudiziale che ne accerti la consistenza e l'importo, dichiarando il fallimento della società (così ancora Cass. Pen., n. 37555/2015). Così, il concetto di dissesto rilevante in ambito penale fallimentare deve essere inteso non tanto come una condizione di generico disordine dell'attività della società, quanto come situazione di squilibrio economico patrimoniale progressivo ed ingravescente che, se non fronteggiata con opportuni provvedimenti o con la presa d'atto dell'impossibilità di proseguire l'attività, può comportare l'aggravamento inarrestabile della situazione debitoria, con conseguente incremento del danno che l’inevitabile, e non evitata, insolvenza finisce per procurare alla massa dei creditori (Cass. Pen., Sez. 5, 25 maggio 2011, n. 32899, Mapelli, rv. 250934). Si è, in particolare, chiarito che il fenomeno del dissesto non si esprime istantaneamente, ma con progressione e durata nel tempo, tanto da essere suscettibile di misurazione (Cass. Pen., Sez. 5, n. 16259/2010, Chini, Rv.247254) e che, dunque, come detto, la situazione rilevante è il dissesto come effettivamente concretizzatosi al momento della formale apertura della procedura concorsuale, rimanendo, dunque, irrilevante che, al momento della consumazione della condotta e della produzione dei suoi effetti, già fosse in atto (cfr. su questi approdi, di recente, Cass. Pen., n. 15652/2020; Cass. Pen., n. 18524/2020). Il dissesto è, dunque, un fenomeno graduale e complesso, legato ad una pluralità di fattori, la cui identificazione va operata in un contesto normativo che sanziona anche il solo aggravamento di detto squilibrio. Per questa ragione, «esso va delineato in maniera puntuale, giacché è necessario chiarire in che termini la illecita prosecuzione dell'attività d'impresa abbia causato ovvero aggravato il suddetto evento», essendo «necessaria un'analisi della progressiva formazione del debito e in quali termini su di esso abbiano inciso causalmente i bilanci sospetti di falsità» (Cass. Pen., Sez. 5, n. 46689/2016). Si tratta di posizione ampiamente contrastata in dottrina, che rimarca come l'aggravamento di un dissesto preesistente sia cosa diversa dalla sua causazione, come evincibile anche dal confronto tra l’art. 224, comma 2, n. 2, e l’art. 223 della l. fall.. Il primo è testuale nel riferirsi al concetto "aggravamento del dissesto", non richiamato dall’art. 223, cpv., n. 1, l. fall., sì che si potrebbe concludere che il legislatore quando ha voluto prendere in considerazione l'evento "aggravamento del dissesto" lo ha fatto richiamandolo espressamente (a sostegno della tesi, anche il principio di frammentarietà della tutela penale, la prevalenza in materia penale del criterio ermeneutico letterale su quello logico, sistematico o teleologico, la garanzia della certezza del diritto, sotto il profilo della prevedibilità delle conseguenze giuridiche delle proprie azioni). A fronte delle obiezioni, la Cassazione (n. 37555/2015) ha ritenuto, in maniera argomentata, sulla base di criteri sistematici e storici, di ribadire l'interpretazione consolidata che equipara l'aggravamento del dissesto alla sua causazione, precisato il concetto di "dissesto", «da non intendersi in senso economico, poiché in quanto tale non offende alcun bene giuridico, ma rappresenta semplicemente l'esito della crisi economica dell'imprenditore, ma che va inteso in senso giuridico, come quello accertato con la sentenza dichiarativa di fallimento». Dunque lo stato di dissesto dell’azienda, ai fini della fattispecie in esame, non viene identificato nella semplice crisi economica della stessa, costituendo piuttosto la condizione patrimoniale della società come accertata nella sentenza di fallimento, ovvero l’insolvenza accertata dall’autorità giurisdizionale che dichiara il fallimento. E’ rispetto al dissesto come effettivamente concretizzatosi al momento della formale apertura della procedura concorsuale - di rilievo certo anche economico - che va valutata l’incidenza della condotta illecita realizzata dagli autori dei reati. Ne deriva che: (i) l’aggravamento di uno stato di crisi economica dell’azienda equivale a produrre un “nuovo” stato di dissesto, quello penalmente rilevante fotografato dalla sentenza di fallimento; (ii) ai fini della configurabilità della bancarotta da reato societario rilevano anche le condotte che abbiano concorso a cagionare il dissesto, sia aggravando l’effetto di cause preesistenti, sia inserendosi in una serie di fattori intervenuti anche successivamente (Cass. Pen., n. 37555/2015; di recente, Cass. Pen. n. 15652/2020; Cass. Pen., 18524/2020). Secondo la Corte di Cassazione la causazione dell’evento certamente si realizza anche quando, attraverso il mendacio, l'imprenditore evita che si manifesti la necessità di procedere ad interventi di rifinanziamento o di liquidazione, in tal modo consentendo alla fallita la prosecuzione dell'attività di impresa con accumulo di ulteriori perdite negli anni successivi (ex multis, Cass. Pen., Sez. 5, n. 42811/2014, Ferrante, Rv. 26175901; Cass. Pen., n. 31974/2019). Infatti, l’occultamento di una sostanziale perdita del capitale sociale che, evitando che si palesi la necessità di procedere al rifinanziamento o alla liquidazione della società, determina l'aggravamento del dissesto di quest'ultima (Cass. Pen., Sez. 5, n.28508 del 12/04/2013, Mannino, Rv. 255575; Cass. Pen., n.7826/2019). Assai stabile è rimasta, infine, l’affermazione pure ribadita nella sentenza in commento, per cui il delitto di bancarotta impropria da false comunicazioni sociali concorre con i delitti di bancarotta propria documentale di cui all'art. 216 R.D. 1942, n. 267 (cfr. già Cass. Pen., Sez. 5, n. 7293/1996, cit.). Conclusioni L’esclusione del bilancio dal novero delle scritture contabili rilevanti per la bancarotta fraudolenta documentale crea le condizioni per il riconoscimento di un concorso materiale – e dunque non di un assorbimento per progressione criminosa - tra questo delitto e l’autonomo reato di bancarotta impropria ex art. 223, comma 2, n. 1, l. fall. da falso in bilancio, che richiede altresì una relazione causale tra la commissione di quest’ultimo e il dissesto. Posta la struttura tipica e la funzione identitaria della contabilità aziendale (in breve: accadimento storico dei fatti gestionali, loro rilevazione documentale, sintesi delle risultanze rilevate in funzione della definizione del risultato di esercizio) nel bilancio vengono ordinariamente a trasporsi gli eventuali contenuti mendaci (anche per omissione) delle scritture contabili (siano quelle di primo grado, di secondo grado o di assestamento). Sebbene, in via teorica, sia possibile ipotizzare un bilancio falso completamente scisso dalle risultanze delle scritture contabili, l’esperienza registra come sia proprio quest’ultimo l’ambito originario della falsità. La severità della soluzione in punto di concorso materiale è temperata, in parte, dall’opinione consolidata in sede giurisprudenziale per cui la continuazione fallimentare ex art. 219, comma 2 n. 1, l. fall., è configurabile per tutte le diverse forme di bancarotta impropria (in tal senso, Cass., Sez. U, n. 21039/2011, P.M. in proc. Loy, Rv. 249666; Cass. Pen., 5717/2020; Cass. Pen., 47051/2019; Cass. Pen., 38091/2019; in senso difforme, cfr. Cass. Pen., n. 8829/2009 nella misura in cui sostiene inapplicabile e l'aggravante del danno rilevante di cui all'art. 219, comma primo, L. fall. alle fattispecie di cui all'art. 223, comma 2, l. fall.; per una recente riconsiderazione critica di quest’ultima pronuncia cfr. Cass., n. 17610/2020). Dalla soluzione favorevole al concorso materiale tra le fattispecie fallimentari in considerazione, conseguono rilevanti effetti di ordine processuale rispetto alle previsioni degli artt. 517 e 521 c.p.p.; ove la bancarotta documentale sia erroneamente contestata sotto forma di falsificazione del bilancio non ravvisa un agevole spazio per una riqualificazione del fatto ex art. 521, comma 1, c.p.p. da parte del giudice nella bancarotta da reato societario, identificato, altresì, dal nesso causale tra delitto societario e dissesto. Si tratta di effetti che vanno tenuti presenti da tutti i soggetti processuali; in particolare, se la pubblica accusa è onerata di una contestazione puntuale degli elementi costitutivi della bancarotta fraudolenta impropria da falso in bilancio (ora reato di danno e di evento), la difesa è parimenti tenuta a contrastare espressamente anche l'idoneità del mendacio bilancistico (cui si pervenga per trasposizione della falsità delle scritture contabili) a contribuire a cagionare il dissesto societario. Riferimenti normativi: Art. 521 c.p.p. Art. 223, comma 2, n. 1, l. fall.
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