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I WhatsApp e gli sms nella memoria di un cellulare hanno natura di documenti


Pronunciandosi su un ricorso proposto avverso l’ordinanza con cui il tribunale del riesame aveva parzialmente riformato quella emessa dal GIP del Tribunale con cui era stata applicata nei confronti di un indagato una misura cautelare custodiale, poi sostituita con gli arresti domiciliari, per una serie di gravi reati, utilizzando, tra gli altri elementi, anche messaggi WhatsApp e sms conservati nella memoria di un telefono cellulare sequestrato in altro procedimento, la Corte di Cassazione penale, Sez. VI, con la sentenza 8 giugno 2022, n. 22417 ha riaffermato il principio secondo cui per i dati informatici non valgono i principi elaborati in materia di intercettazioni e di acquisizione di corrispondenza, dovendosi ritenere che i messaggi WhatsApp e gli sms conservati nella memoria di un telefono cellulare hanno natura di documenti ai sensi dell'art. 234 c.p.p., sicché è legittima la loro acquisizione mediante mera riproduzione fotografica, non trovando applicazione né la disciplina delle intercettazioni, né quella relativa all'acquisizione di corrispondenza di cui all'art. 254 c.p.p. ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI Conformi Cass. pen. sez. VI, 12/11/2019, n. 1822 dep. 2020 Cass. pen. sez. V, 21/11/2017, n. 1822 dep. 2018 Cass. pen. sez. VI, 18/01/2005, n. 10066DifformiNon si rinvengono precedenti in terminiPrima di soffermarci sulla pronuncia resa dalla Suprema Corte, deve essere ricordato che l’ art. 234, c.p.p., sotto la rubrica «Prova documentale», prevede che “1. È consentita l'acquisizione di scritti o di altri documenti che rappresentano fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo. 2. Quando l'originale di un documento del quale occorre far uso è per qualsiasi causa distrutto, smarrito o sottratto e non è possibile recuperarlo, può esserne acquisita copia. 3. È vietata [c.p.p. 191] l'acquisizione di documenti che contengono informazioni sulle voci correnti nel pubblico intorno ai fatti di cui si tratta nel processo o sulla moralità in generale delle parti, dei testimoni, dei consulenti tecnici e dei periti”. La differenza tra documenti ed intercettazioni telefoniche è data dal fatto che i primi si sostanziano essenzialmente nella rappresentazione di fatti verificatisi nel passato ai quali lo stesso ordinamento ricollega determinati effetti suscettibili di rivestire rilevanza giuridica, mentre le seconde si sostanziano in operazioni finalizzate alla raccolta, secondo una logica di contemporaneità rispetto a ciò che si registra, del flusso di conversazioni telefoniche tra due diversi soggetti (P. Milano 27/5/1999, in FAmbr, 1999, 452). In materia la Suprema Corte ha osservato che i saggi fonici costituiscono prova documentale, non dichiarativa, né sono equiparabili alle intercettazioni tra presenti perché in essi è del tutto indifferente il contenuto delle frasi pronunciate non valutabile né pro né contro chi le pronuncia, ma utilizzabile come mero parametro di riferimento ai fini dell'espletamento di una perizia sicché essi sono acquisibili senza formalità (Cass. pen. sez. II, 09/07/2010, n. 28681, Cabras, in Mass. Uff., 248213). In proposito, la Cassazione ha chiarito che la registrazione di una conversazione tra presenti, contenuta in un file audio, riproducendo un avvenimento storico che rimanda al contenuto dichiarativo di soggetti individuabili, anche in assenza dell'identificazione dell'autore della registrazione stessa, non è qualificabile come documento anonimo ma costituisce una notitia criminis che legittima l'avvio e il compimento di indagini da parte del pubblico ministero per verificarne la portata e compiere ogni opportuno approfondimento investigativo, ivi compresi l'adozione dei mezzi di ricerca della prova quali perquisizione e sequestro (Cass. pen. sez. VI, 13/02/2020, n. 5782). E se ci si muove dalla nozione comunemente accolta di atti procedimentali (Tonini, Il valore probatorio dei documenti contenenti dichiarazioni scritte, in CP, 1990, II, 2214) - non possono escludersi da tale nozione le risultanze delle attività di indagine, pur quando esse si concretizzino in riproduzioni immediatamente percepibili quale è la fotografia. In materia di pagine web, invece, un recente orientamento giurisprudenziale ritiene che la pagina stampata, asseritamente estratta dal web non è un mezzo di prova ammissibile perché è un documento di incerta paternità (Cass. pen. sez. V, 16/07/2010, n. 35511, Brambilla, in DPP, 2011, 455). Sul tema in questione, la Corte di Cassazione ha di recente affermato che non possono ritenersi legittime le intercettazioni ambientali di immagini effettuate in un appartamento privato e che nemmeno può ritenersi che esse possano costituire documento ai sensi dell'art. 234. Ciò in quanto, non trattandosi di riprese visive effettuate in luoghi aperti o pubblici, viene in rilievo il limite della inviolabilità del domicilio di cui all'art. 14 Cost. (Cass. pen. sez. Unite, 28/03/2006, Prisco, in ANPP, 2007, 402 con note di Di Bitonto, Le riprese video al vaglio delle Sezioni Unite, in CP, 2006, 3950 e Ruggieri, Riprese visive e inammissibilità della prova, in CP, 2006, 3945; Conti, Accertamento del fatto e inutilizzabilità nel processo penale, Padova, 2007; e già prima Cass. pen. sez. VI, 10/11/1997, Greco, in CP, 1999, 1189); tuttavia, allorquando le videoregistrazioni siano state effettuate da una delle persone riprese, trattandosi di attività di documentazione posta in essere da un soggetto che prende parte all'attività documentata, i risultati sono legittimamente acquisibili e pienamente utilizzabili (Cass. pen. sez. VI, 12/04/2000, Carvajal ed altri, in Mass. Uff., 220746). Di recente la Suprema Corte ha sostenuto che le immagini tratte dal filmato di una telecamera piazzata in luogo pubblico costituiscono atti irripetibili, come tali acquisibili ai sensi dell'art. 431, mentre non altrettanto può dirsi con riguardo alle fotografie dell'imputato utilizzate per il riconoscimento nel corso delle indagini preliminari, le quali possono essere acquisite ai sensi dell'art. 234 al fine di valutare il grado di attendibilità del riconoscimento operato dal teste e da questi confermato in dibattimento (Cass. pen. sez. V, 23/03/2004, Dori, in CP, 2005, 1355). In relazione ai tabulati telefonici o informatici, redatti da soggetti estranei al procedimento e per fini diversi dal procedimento, essi sono inquadrabili come documenti (Cass. pen. sez. Unite, 08/05/2000, D'Amuri, in CP, 2000, 2598) anche se in relazione agli stessi, in virtù dell'art. 15 Cost. il legislatore ha dovuto prevedere un particolare procedimento di acquisizione al fine di tutelare la riservatezza delle comunicazioni. Relativamente, invece, ai documenti aventi contenuto scientifico negli ultimi anni si è fatta strada l'idea per la quale si ritiene che il giudice debba comprendere criticamente l'esperienza scientifica (Dominioni, In tema di nuova prova scientifica, in DPP, 2001, 1061; Ferrua, Il giusto processo, Bologna, 2005, 1061) partecipando all'esame di periti e consulenti tecnici. La dottrina, tuttavia, è arrivata a ritenere che in luogo dell'esame del perito o del consulente si potrebbe acquisire il documento che riporti anche la valutazione tecnica (Orlandi, Atti e informazioni dell'autorità amministrativa nel processo penale. Contributo allo studio delle prove extracostuituite, Milano, 1992, 188; Ichino, Gli atti irripetibili e la loro utilizzabilità dibattimentale, in Ubertis, La conoscenza del fatto nel processo penale, Milano, 1992, 123) ma il tutto, ovviamente, viene rimesso nelle mani delle parti che, se riterranno confacente alle proprie aspettative processuali il contenuto di quel documento allora non attiveranno lo strumento della perizia, in caso contrario, invece, lo faranno. La giurisprudenza si è, altresì, pronunciata in relazione agli atti derivanti da un procedimento disciplinare; l'eventuale memoria dell'incolpato può essere acquisita ai sensi dell'art. 237 se le dichiarazioni sono rese oralmente e verbalizzate da un organo disciplinare, poiché il fine non è il procedimento penale; esso, dunque, si può considerare alla stregua di un documento. Nel caso in cui, poi, si invochino i divieti di cui all'art. 63 - ancor di più laddove il verbalizzante sia tenuto alla denuncia della notitia criminis - la giurisprudenza risponde invocando il principio secondo il quale chiunque ha facoltà di astenersi dal collaborare nei procedimenti sanzionatori ma, laddove decida di farlo, deve, per il principio di autoresponsabilità, dimostrarsi credibile se vuol essere creduto (Cass. pen. sez. VI, 15/03/2005, Petrosino e Martucci, in Mass. Uff., 231633). La categoria del documento risulta in continua espansione in ragione del progresso tecnologico. Attualmente può ritenersi che i dati informatici (Sms, messaggi WhatsApp, messaggi di posta elettronica scaricati o conservati nella memoria) rinvenuti in un telefono cellulare sottoposto a sequestro abbiano natura di documenti, con la conseguenza che la relativa acquisizione non soggiace né alle regole stabilite per la corrispondenza, né tantomeno alla disciplina delle intercettazioni telefoniche (Cass. pen. sez. V, 06/05/2021, n. 17552; Cass. pen. sez. V, 16/01/2018, n. 1822). Tanto premesso, nel caso in esame, la difesa aveva sostenuto l'inutilizzabilità del dato probatorio desumibile dalla messaggistica WhatsApp, rinvenuta nel telefono cellulare sequestrato all’indagato nell'ambito di un diverso procedimento. La Cassazione, nel disattendere la tesi difensiva, nel rilevare che la copia forense era esistente ma non era stata materialmente acquisita nel presente procedimento, facendo comunque parte del compendio probatorio presente nel separato procedimento, ha rimarcato che per i dati informatici non valgono i principi elaborati in materia di intercettazioni e di acquisizione di corrispondenza, dovendosi ritenere che "i messaggi "WhatsApp" e gli sms conservati nella memoria di un telefono cellulare hanno natura di documenti ai sensi dell'art. 234 c.p.p., sicché è legittima la loro acquisizione mediante mera riproduzione fotografica, non trovando applicazione né la disciplina delle intercettazioni, né quella relativa all'acquisizione di corrispondenza di cui all'art. 254 c.p.p. (Cass. pen., sez. VI, n. 1822 del 12/11/2019, dep. 2020, T., CED Cass. 278124; in senso analogo Cass. pen. sez. V, n. 1822 del 21/11/2017, dep. 2018, P., CED Cass. 272319). Ciò significa che il dato probatorio era stato nel caso di specie acquisito nel procedimento nella forma idonea a renderlo concretamente valutabile, non essendo indispensabile l'acquisizione integrale degli atti del separato procedimento e della copia forense, la quale, peraltro, ben avrebbe potuto essere esaminata nell'interesse del ricorrente mediante richiesta rivolta, se del caso, al Procuratore della Repubblica presso cui pendeva il separato procedimento, non essendo rilevanti, da un lato, la circostanza che non risulti presente l'atto autorizzativo, di cui la difesa aveva l'onere di dimostrare la mancanza sulla base di una verifica effettuata nel separato procedimento (principio affermato in materia di intercettazioni: Cass. pen. sez. Unite, n. 45189 del 17/11/2004, Esposito, CED Cass. 229245), e dall'altro la vana domanda di acquisizione della copia forense rivolta dalla difesa alla Procura della Repubblica presso il tribunale che aveva emesso la misura. Da qui, pertanto, il rigetto del ricorso sul punto. Riferimenti normativi: Art. 266 c.p.p. Art. 234 c.p.p.

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