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Fideiussioni e decadenza dei termini ex art. 1957 c.c.

Il contenuto della clausola di rinuncia ai termini di cui all’art. 1957 c.c. pone a carico del contraente, nei cui confronti la stessa clausola produce effetti, decadenze e/o limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni che impediscono al fideiussore di far valere la decadenza del creditore negligente per non essersi attivato avverso il debitore principale. Tale clausola deve ritenersi ricompresa nel novero delle clausole ritenute vessatorie dal legislatore sia ai sensi dell’ art. 1341, secondo comma, c.c., sia dell’art. 33, secondo comma, lett. t) del Codice di Consumo (D.lgs. n. 206/2005). Il garante deve ritenersi liberato dal vincolo fideiussorio con riferimento al credito oggetto di ingiunzione, e la banca decaduta dal diritto a far valere in giudizio le proprie ragioni di credito, se difetta la prova dell’attivazione, da parte della banca creditrice, di istanze giudiziali nei termini di cui all’art. 1957 c.c. Così ha stabilito il Tribunale di Firenze con la sentenza n. 2807 del 4 ottobre 2023.

Il caso Il fideiussore di una impresa individuale propone opposizione avverso un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, avente ad oggetto il pagamento di una somma di denaro oltre interessi ed accessori. In particolare, parte opponente, evidenziata la propria qualifica di consumatore, eccepisce la nullità della fideiussione con riguardo alla clausola di rinuncia ai termini di cui all’art. 1957 c.c. e, quindi, la decadenza della banca dal diritto di far valere le proprie ragioni creditorie nei confronti del garante. La decisione in commento, nel revocare il decreto ingiuntivo opposto, opera una significativa ricognizione degli orientamenti giurisprudenziali che hanno delineato il perimetro di operatività dell’art. 1957 c.c. La qualifica di consumatore Come noto, la qualifica di “consumatore”, come definita nell’art. 2 lett. b) della direttiva n. 93/2013, è attribuita a colui che «agisce per fini che non rientrano nel quadro della sua attività professionale», risultando quindi dirimente il criterio funzionale, volto ad analizzare se il rapporto contrattuale di cui è parte il presunto consumatore rientri o meno nelle finalità inerenti alla attività professionale da costui svolte. Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità - recependo le decisioni della Corte di giustizia UE 9 novembre 2015, C-74/15, Tarcau; 14 settembre 2016, C-534/15, Dumitrasha - ha escluso la rilevanza dell'attività svolta dal debitore principale per la qualificazione della posizione (di consumatore o no) del fideiussore, affermando che il criterio per la positiva identificazione di un fideiussore nell'ambito della categoria del consumatore risiede nella valutazione «se il rapporto contrattuale di cui alla fideiussione nel concreto rientri, oppure no, nell'ambito di attività estranee all'esercizio della eventuale professione specificamente svolta dal soggetto che ha prestato la garanzia» (Cass. n. 1666/2020; Cass. n. 8662/2020; Cass. n. 20633/2021; Cass. n. 5379/2023). Tale impostazione (che ripudia la tesi del c.d. professionista di riflesso) è stata recentemente avallata dalle Sezioni Unite (Cass., Sez. un., n. 5868/2023). Non avendo parte opposta dimostrato che il fideiussore avesse prestato la garanzia in favore della banca creditrice per soddisfare finalità attinenti alla propria attività professionale, il Tribunale ha ritenuto che il garante avesse agito come consumatore non professionista (verosimilmente legato da rapporti di tipo personale con il debitore principale). Vessatorietà della clausola di deroga all’art. 1957 c.c. Il contenuto della clausola di rinuncia ai termini di cui all’art. 1957 c.c. pone a carico del contraente, nei cui confronti la stessa clausola produce effetti, decadenze e/o limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni che impediscono al fideiussore di far valere la decadenza del creditore negligente per non essersi attivato avverso il debitore principale. Tale clausola, pertanto, deve ritenersi ricompresa nel novero delle clausole ritenute vessatorie dal legislatore sia ai sensi dell’art. 1341, secondo comma, c.c., sia dell’art. 33, secondo comma, lett. t) del Codice di Consumo ( D.lgs. n. 206/2005). La decisione in commento rileva, correttamente, che se per superare la presunzione di vessatorietà sancita all’art. 1341, comma 2, c.c. è sufficiente la doppia sottoscrizione da parte del contraente al quale la clausola tacciata di determinare uno squilibrio normativo tra le parti è sottoposta, per superare la presunzione relativa introdotta dalla disciplina consumeristica è richiesto che il contenuto di una clausola potenzialmente vessatoria sia oggetto di trattativa individuale con il consumatore ex art. 34, comma 5, D.lgs. n. 206/2005. La giurisprudenza, infatti, ha reiteratamente affermato che «in materia di fideiussione, le parti possano convenzionalmente escludere la decadenza del creditore dalla garanzia prevista dall’art. 1957 c.c., ma, quando il garante rivesta la qualità di consumatore, la conclusione di tale accordo derogatorio deve necessariamente essere perfezionata nel rispetto delle forme di tutela non più formali ma sostanziali richieste dal Codice del Consumo ( Dlgs. 206/2005), con onere per il professionista di provare che le clausole unilateralmente predisposte siano state oggetto di trattativa individuale ex art. 34 co. 5, non essendo sufficiente la specifica approvazione per iscritto prevista dalla disciplina codicistica (art. 1341 co. 2 c.c.)» (Trib. Milano, 12.7.2019, n. 6991; App. Firenze, 30.5.2022, n. 1091). Più di recente, questa impostazione è stata confermata da Cass. n. 27558/2023. Non avendo parte opposta provato di aver sottoposto la clausola di deroga all’art. 1957 c.c. a trattativa (garante consumatore), il giudice ha dichiarato la nullità parziale della fideiussione, con conseguente reviviscenza del termine di 6 mesi dalla scadenza dell’obbligazione entro il quale il creditore avrebbe dovuto proporre le sue istanze e continuarle diligentemente nei confronti del debitore ai sensi dell’art. 1957 c.c. La liberazione del fideiussore Il mancato rispetto dei termini predetti determina la liberazione del fideiussore e la conseguente decadenza del creditore dal diritto di agire nei confronti dei fideiussori. Nella fattispecie, la banca creditrice, confidando nella clausola derogatoria dell’art. 1957 c.c., non agiva nei canonici sei mesi dalla scadenza dell’obbligazione principale. Peraltro, trattandosi di garanzia ‘a prima richiesta’, sarebbe risultata sufficiente anche la proposizione di una istanza stragiudiziale (Cass. n. 36343/2022; Cass. n. 31509/2021; Cass. n. 1724/2016; Cass. n. 22346/2017), in deroga al tradizionale principio consolidatosi in giurisprudenza secondo cui l’istanza di pagamento volta ad evitare la liberazione del garante deve essere giudiziale (Cass. n. 283/1997; Cass. n. 1724/2016). Non potrebbe infatti considerarsi ‘a prima richiesta’ l’adempimento subordinato all’esercizio di un’azione in giudizio. La sentenza chiarisce, altresì, che la proroga dei termini di pagamento delle obbligazioni del debitore principale, a seguito dell’approvazione di un piano di rientro, non impatta sui termini previsti dall’art. 1957 c.c. La Cassazione, infatti, ha ribadito in più circostanze che, nell’ambito del termine ex art. 1957 c.c., il creditore può consentire al debitore le proroghe che ritiene opportune, assumendosi, tuttavia, il rischio di quelle che non gli consentono di agire entro i termini di legge; ne consegue che, ove per questo motivo non possa agire contro il debitore ovvero, pur avendone la possibilità, non agisca contro quest’ultimo per propria inerzia, così non ottemperando al dovere impostogli, il creditore non potrà più fare valere, nei confronti del garante, l’obbligazione fideiussoria (Cass. n. 25197/2023; Cass. n. 40829/2021). La decisione del Tribunale di Firenze In esito alle argomentazioni che precedono, il Tribunale ha stabilito che difetta la prova dell’attivazione, da parte della banca creditrice, nei confronti del debitore principale (fideiussione solidale) di istanze stragiudiziali o giudiziali, nonché della diligente coltivazione delle istanze medesime da parte della banca nei confronti del debitore principale nei termini di cui all’art. 1957 c.c. Di conseguenza, il garante deve ritenersi liberato dal vincolo fideiussorio con riferimento al credito oggetto di ingiunzione e la banca decaduta dal diritto a far valere in giudizio le proprie ragioni di credito. Riferimenti normativi: Art. 1957 c.c.

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