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La nullità degli atti: art. 177 e seguenti c.p.p.











Il cardine attorno al quale ruota l’intera disciplina dettata dal Legislatore in materia di nullità degli atti è, senza dubbio, il principio di tassatività, enunciato all’art. 177 c.p.p. e riferito, non già all’inosservanza delle forme prescritte per gli atti processuali, bensì a quella delle disposizioni stabilite per gli atti del procedimento. È stato così superato, per espresso dictum legislativo, ogni dubbio circa l’estensione del principio suddetto alle nullità non formali.

Dall’affermato principio di tassatività discende una serie di conseguenza di non trascurabile rilievo. Innanzitutto, all’interprete non sarà consentito ricorrere all’integrazione analogica, facendo leva sulle disposizioni che prevedono ipotesi di nullità, ma neppure, una volta accertata la causa di nullità, sarà a questi consentito accertare l’esistenza concreta di un conseguente pregiudizio effettivo (come avviene nel processo civile).



Al di fuori delle ipotesi esplicitamente o implicitamente definite affette da nullità, non vi sono dunque spazi residui per l’individuazione di questa specie di invalidità.

Alla luce di ciò, si è ritenuto che i vizi della volontà considerati dal codice civile non sono riferibili agli atti processuali penali, attesa l’autosufficienza del relativo sistema codicistico che nulla dispone al riguardo.

Diverso è, però, il caso in cui non venga in gioco un vizio della volontà, ma il suo difetto assoluto, quale conseguenza di una coazione fisica. Inevitabile, al riguardo, concludere allora per la sussistenza di un’ipotesi di inesistenza giuridica, atteso che la volontarietà rappresenta il coefficiente psichico minimo di ogni atto processuale penale.

Il ricorso alla categoria dell’inesistenza giuridica, in particolare, comprende quei vizi tanto macroscopici da indurre il Legislatore nemmeno a ipotizzarne l’eventualità (si pensi alla sentenza emessa da chi non è ritualmente investito della qualifica di Giudice). Ne consegue che non potrà mai parlarsi di inesistenza dell’atto, qualora il vizio inficiante il medesimo ricada già nell’alveo di una fattispecie di invalidità disciplinata espressamente dal codice.

L’inesistenza genera un vizio di invalidità rilevabile in ogni stato e grado del procedimento, ivi compreso quello di esecuzione, ma anche oltre, atteso che la gravità del vizio è tale da impedire la formazione del giudicato.

Su un piano concettuale distinto dall’inesistenza, si colloca l’abnormità dei provvedimenti emessi dal Giudice, che inficia quel provvedimento che, per la singolarità e stranezza del contenuto, risulti avulso dall’intero ordinamento processuale, nonché quello che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, al di là di ogni ragionevole limite. Con essa si intende, pertanto, porre rimedio alla tassatività delle cause di nullità, nonché alla tassatività oggettiva dell’impugnazioni, rendendo ammissibile un autonomo ricorso per cassazione o la rilevazione ufficiosa da parte del Giudice dell’impugnazione ritualmente investito.

L’abnormità resta comunque assoggettata agli ordinari termini di impugnazione, a differenza dell’inesistenza, perdendo ogni rilevanza a seguito della formazione del giudicato.

Non contrasta con il principio di tassatività il fatto che talune nullità siano ricavabili da una disposizione di carattere generale, che rinvia ad una serie di fattispecie altrove disciplinate. Si tratta, infatti, di una mera tecnica di previsione, ispirata oltre a ragioni di economia normativa, anche all’obiettivo di colmare eventuali dimenticanze.

Natura di disposizione di carattere generale riveste giusto l’art. 178 c.p.p., rubricato nullità di ordine generale, che ha riguardo all’inosservanza di una serie di disposizioni che concernono il Giudice, il Pubblico Ministero, l’imputato, le altre parti private e i loro difensori e rappresentati, nonché la citazione giudizio della persona offesa dal reato e del querelante.

Alle nullità di ordine generale si contrappongono quelle speciali, stabilite da un’apposita previsione legislativa. La differenza sta, dunque, nella tecnica di previsione adottata dal Legislatore.

Diversamente, quando si distingue tra nullità assolute, nullità intermedie e, ancora, nullità relative, si fa riferimento a un diverso regime di trattamento, previsto dalla Legge, per le diverse specie di nullità.

Le nullità assolute sono disciplinate dall’art. 179 c.p.p. Caratteristica principale è la loro insanabilità, sebbene anch’esse continuino ad essere sottoposte alla forza preclusiva del giudicato; e non solo, non sono rilevabili – ai sensi dell’art. 627 comma 4 c.p.p. – nel giudizio di rinvio le nullità assolute verificatesi anteriormente, in forza del c.d. giudicato implicito. Ne discende che sia più corretto parlare, al riguardo, di insanabilità fino alla irrevocabilità del giudicato.

Altra caratteristica delle nullità in discorso, sebbene non esclusiva, consiste nella rilevabilità ex officio da parte del Giudice in ogni stato e grado del procedimento. Essa è comune pure alle nullità a regime intermedio, nonché ad una sottoclasse delle nullità relative (v. artt. 274 e 292 c.p.p., infra).

Le inosservanze assoggettate a tale regime di nullità si ricavano in parte dallo stesso art. 179 ed in parte dal dettato del precedente art. 178 c.p.p.

Atteso il rinvio integrale all’art. 178 comma 1 lett. a), è causa di nullità assoluta l’inosservanza delle disposizioni concernenti le condizioni di capacità del Giudice ed il numero dei Giudici necessari a costituire i collegi giudicanti.

Per quanto riguarda la figura del Pubblico Ministero invece, tra le nullità di ordine generale sono assolute quelle concernenti l’iniziativa del medesimo nell’esercizio dell’azione penale. A titolo esemplificativo, si configura una nullità di tipo assoluto nel caso in cui il Giudice decida sul fatto nuovo emerso all’udienza dibattimentale, senza che lo stesso sia stato formalmente contestato dal Pubblico Ministero.

Si collocano, inoltre, nell’ambito delle nullità assolute anche le violazioni delle disposizioni sulla capacità e sulla legittimazione del rappresentante del Pubblico Ministero, purchè si riflettano sulla sua iniziativa nell’esercizio dell’azione penale.

Per quanto riguarda l’imputato e il suo difensore, la disciplina codicistica mira a presidiare, con il rimedio della nullità assoluta, l’effettiva e indefettibile realizzazione del contraddittorio. L’ipotesi contemplata è, infatti, quella dell’omessa o invalida citazione al dibattimento di primo e secondo grado, ancorchè tenuto a seguito di giudizio direttissimo o immediato.

Nonostante il limite semantico attribuito al termine citazione, vi è costante e indiscussa giurisprudenza secondo la quale va ravvisata una nullità assoluta anche nel caso di omesso avviso per l’udienza preliminare.

Per quanto specificamente attiene al solo difensore, è sanzionata con la nullità assoluta non solo l’assenza dal dibattimento di primo e secondo grado, ma pure ogni altra ipotesi rispetto alla quale ne sia dichiarata obbligatoria la presenza, quale l’assenza dall’interrogatorio di persona sottoposta a misura cautelare (art. 294 comma 4 c.p.p.); dall’assunzione di sommarie informazioni da parte dell’indagato a cura della Polizia giudiziaria (art. 350 comma 3 c.p.p.); dall’udienza di convalida dell’arresto o del fermo (art. 391 comma 1); dall’udienza di incidente probatorio (art. 401 comma 1); dall’udienza del procedimento di esecuzione (art. 666 comma 4); etc.

L’art. 179 comma 2, invece, riconosce espressamente l’esistenza di nullità a previsione speciale che siano espressamente definite assolute. L’unico esempio è, invero, previsto all’art. 525 comma 2, laddove si stabilisce che, in ossequio all’osservanza del principio di immediatezza del giudizio, alla deliberazione della sentenza debbono concorrere gli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento.

A regime diverso da quello delle nullità assolute, sono sottoposte le nullità generali diverse da quelle richiamate dall’art. 179.

L’art. 180 c.p.p., rubricato regime delle altre nullità di ordine generale, disciplina le nullità note come “nullità a regime intermedio”, definite opportunamente tali nella prassi, atteso che il relativo regime si situa in posizione intermedia tra quello delle nullità assolute e quello delle nullità relative. Le nullità in discorso, infatti, al pari delle prime sono rilevabili anche ex officio, mentre al pari delle seconde risultano sanabili in un momento anteriore all’irrevocabilità della sentenza.

In particolare, la loro rilevazione o deduzione soggiace a termini espressamente stabiliti.

Se si sono verificate prima del giudizio, non possono essere rilevate né dedotte dopo la deliberazione della sentenza di primo grado; se verificatesi nel giudizio invece, non possono più rilevarsi/dedursi dopo la deliberazione della sentenza del grado successivo.

L’area delle nullità intermedie si ricava per sottrazione dell’area delle nullità assolute ex art. 179 comma 1 dalla più ampia area delle nullità generali di cui all’art. 178. Non è, pertanto, dato rinvenire nullità speciali sottoposte al regime delle nullità intermedie.

In essa figura, anzitutto, l’inosservanza delle disposizioni relativa alla partecipazione del Pubblico Ministero al procedimento, sempre che tale attività non sia inquadrabile in quella di iniziativa nell’esercizio dell’azione penale che costituisce un’ipotesi di nullità assoluta. Essa, in linea generale, si riferisce a tutti quegli interventi in cui si risolve il contributo dialettico del Pubblico Ministero al procedimento, laddove invece, in costanza dei medesimi presupposti, l’assenza del difensore dell’imputato è causa di nullità assoluta.

Ancora, costituiscono nullità a regime intermedio le inosservanze relative alle disposizioni riguardanti l’intervento, l’assistenza e la rappresentanza dell’imputato, le quali sono evidentemente poste a tutela della personale partecipazione dell’imputato al procedimento, delle attività svolte dal suo difensore (come pure dal consulente tecnico, interprete, curatore speciale) al fine di far valere gli interessi propri di quest’ultimo, nonché dei poteri di rappresentanza conferiti dall’imputato medesimo al suo difensore o a persone diverse da questi.

Per quanto concerne invece l’inosservanza delle disposizioni concernenti l’intervento, l’assistenza e la rappresentanza delle altre parti private, essa è sempre tutelata dalla previsione di una nullità a regime intermedio. L’omessa (o invalida) citazione di tali soggetti risulta, dunque, sottoposta a un regime più blando di quello previsto per l’omessa (o invalida) citazione dell’imputato (cfr. C.Cost. n. 172/1995 circa la razionalità di una tutela difensiva differenziata tra l’imputato e le altre parti private).

Residuano infine le c.d. nullità relative, individuabili in quelle nullità non generali, non definite come assolute da specifiche disposizioni di legge.

In sostanza, di fronte ad una nullità a previsione speciale, l’interprete deve, innanzitutto, verificarne la riconducibilità nell’alveo delle nullità di ordine generale. Se tale prima operazione dà esito positivo, dovrà verificare se essa sia sottoposta al regime delle nullità assolute; qualora tale secondo accertamento dia esito negativo, dovrà concludersi per il suo inquadramento tra le nullità di regime intermedio. Qualora, invece, la nullità non rientri nel novero di quelle di ordine generale, né sia espressamente prevista dalla medesima disposizione come nullità di tipo assoluto, l’interprete potrà concludere per la sua natura di nullità relativa.

Tratto caratteristico di tale specie di nullità è il fatto che esse possono essere dichiarate dal Giudice solo su eccezione della parte interessata.

Proprio dalla predetta caratteristica discende la previsione di termini di sanatoria delle nullità relative più compressi rispetto a quelli delle nullità intermedie, al chiaro fine di scongiurare il pericolo del diffondersi del vizio agli atti successivi dipendenti; vizio che il Giudice non ha il potere di rilevare autonomamente ex officio.

E così, le nullità concernenti le indagini preliminari o l’incidente probatorio o gli atti dell’udienza preliminare devono essere eccepite in termini sempre brevi, ma distinti a seconda che si tenga o no l’udienza preliminare. Nel primo caso, debbono essere eccepite anteriormente alla pronuncia del provvedimento conclusivo dell’udienza ai sensi dell’art. 424 c.p.p.; nel secondo, invece, subito dopo che sia compiuto per la prima volta il regolare accertamento della costituzione in giudizio delle parti, il che fa sì che l’eccezione di nullità divenga oggetto di una questione preliminare ex art. 491 c.p.p.

Quest’ultimo termine si applica anche alle nullità concernenti il decreto che dispone il giudizio o gli atti preliminari al dibattimento, nonché nel caso in cui le nullità sopra citate regolarmente eccepite non siano state a suo tempo dichiarate; mentre nel caso di sentenza di non luogo a procedere, esse dovranno essere riproposte con la relativa impugnazione.

Parimenti anche le nullità verificatesi in giudizio debbono essere eccepite con l’impugnazione della sentenza.

Va, a questo punto, rilevato come agli artt. 274 comma 1 lett. a) e 292 comma 2 c.p.p. (concernenti l’indicazione delle esigenze cautelari di tipo probatorio, quale contenuto necessario dell’ordinanza che dispone una misura cautelare) siano previste due fattispecie di nullità speciali rilevabili anche d’ufficio. Si è parlato a proposito di un quartum genus di nullità, posto che trattandosi di nullità speciali, sono tuttavia accostate – per espressa voluntas del Legislatore – al regime delle nullità di tipo intermedio.

Invero, tale previsione non dice nulla di nuovo per quanto attiene ai poteri del Tribunale del Riesame, posto che questo può annullare il provvedimento impugnato ex art. 309 c.p.p., anche per motivi diversi da quelli enunciati. In sede di appello invece, la rilevabilità anche d’ufficio rafforza il controllo di legalità sul provvedimento, abilitando il Giudice a travalicare l’ambito dei motivi addotti. Prospettive di segno analogo si dischiudono per il giudizio in Cassazione.

Ai sensi dell’art. 182 comma 1, la nullità relativa o a regime intermedio non può essere dedotta o eccepita né da chi vi ha dato o concorso a darvi causa, né da chi non ha interesse all’osservanza della disposizione violata.

Ai sensi del comma 2, inoltre, la nullità va eccepita prima del compimento dell’atto; oppure, ove ciò non sia possibile, immediatamente dopo, di modo che il vizio non si ripercuota sugli atti successivi dipendenti.

Ove tuttavia la parte non abbia assistito al compimento dell’atto, i termini per dedurre la nullità coincideranno con quelli di sanatoria stabiliti rispettivamente per le nullità relative e per quelle a regime intermedio.

I termini per rilevare o eccepire le nullità in discorso sono stabiliti, è utile sottolinearlo, a pena di decadenza.

Va, a questo punto, attenzionato l’art. 183 c.p.p. , il quale si occupa della disciplina delle cause di sanatoria generali, ispirata al principio della conservazione degli effetti precari prodotti dall’atto imperfetto.

La prima fattispecie di sanatoria di carattere generale è quella dell’acquiescenza, in cui si collocano la rinuncia espressa della parte interessata a eccepire la nullità e l’accettazione (espressa o tacita) degli effetti dell’atto.

La seconda figura di sanatoria si riferisce, invece, ai casi in cui la parte si sia avvalsa della facoltà al cui esercizio l’atto omesso o nullo è preordinato, nota anche come sanatoria per il raggiungimento dello scopo.

L’art. 184 c.p.p. prevede, invece, una causa di sanatoria speciale, che opera nei confronti del Pubblico Ministero, delle parti private, nonché dei loro difensori, quando, in caso di nullità di una citazione o di un avviso ovvero delle relative comunicazioni e notificazioni, la parte compaia comunque all’udienza.

La comparizione deve essere personale, sicchè, ad esempio, la comparizione del difensore non sana l’omessa citazione dell’imputato, e volontaria. Non opera, dunque, coma causa di sanatoria l’accompagnamento coattivo.

Secondo una regola tradizionale, tuttavia, la parte che dichiari di essere comparsa al solo fine di far rilevare l’irregolarità non impedisce il verificarsi della sanatoria, ma ha diritto ad un termine a difesa non inferiore a cinque giorni (non inferiore a venti giorni nel caso in cui la citazione a comparire riguardi il dibattimento, attesa l’importanza dell’atto e quindi la gravità del vizio).

Una volta escluso che ricorrano limiti alla deducibilità della nullità o che si siano verificate cause di sanatoria, il Giudice deve dichiarare la nullità dell’atto (art. 185 c.p.p.).

La nullità di un atto comporta, anzitutto, l’invalidità di quelli consecutivi che da esso dipendano (c.d. nullità derivata).

Il Giudice che ha dichiarato la nullità, dispone, inoltre, la rinnovazione dell’atto soltanto qualora essa sia necessaria e possibile, ponendo le relative spese a carico di chi ha dato causa alla nullità per dolo o colpa grave.

Allorchè, poi, la nullità venga dichiarata in uno stato diverso da quello in cui essa si è verificata, essa comporta la regressione del procedimento allo stato e grado in cui è stato compiuto l’atto nullo, purchè non si tratti di un atto di natura probatoria.

Cospicue ipotesi derogatorie a tale proposito sono delineate dall’art. 604 c.p.p., relativo ai poteri del Giudice d’appello.

Nel caso in cui la nullità concerna, invece, un atto di natura probatoria, il Giudice non può avvalersi della regressione, ma deve provvedere alla rinnovazione, sempre se possibile e necessaria. Tale regola non può chiaramente operare nel giudizio in Cassazione, in cui si farà ricorso all’istituto dell’annullamento con rinvio (art. 623 c.p.p.).

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