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Azione avverso il silenzio della P.a.

Il giudice è chiamato ad accertare l’inadempimento della P.a. che è risultata inerte.

Il giudizio risulta quindi duplice:

-valutare inizialmente la illegittimità del silenzio, e pertanto se non ricorra semplicemente l’ipotesi di silenzio assenso e quindi di comportamento tacito della P.a. ovvero se l’intervento della P.A. non era comunque dovuto;

-in secondo luogo, qualora si stata positivamente valutata l’illegittimità dovrà essere analizzata la pretesa del privato.

Il processo amministrativo

L’art. 31 c.p.a. al primo comma stabilisce che il giudice, decorsi inutilmente i termini per la conclusione del procedimento amministrativo, può essere chiamato a valutare l’obbligo della amministrazione di provvedere.

L’azione è dunque soggetta a un limite temporale per l’interessato, difatti può essere proposta fintanto che perdura l’inadempimento e comunque non oltre un anno dalla scadenza del termine di conclusione del provvedimento. Lo stesso art. 2 co.1 L 241/90 stabilisce un vincolo per la P.a. a concludere il procedimento con un provvedimento espresso, e comunque in un tempo delimitato ex art. 2 co.2 L. 241/90. Tali vincoli sono apposti dall’ordinamento a tutela del singolo, il quale può invocare alternativamente o congiuntamente un danno da inadempimento della P.A. o da ritardo, sulla base della ragionevole durata del procedimento ai sensi dell’art. 111 Cost.

Importante sottolineare che il sindacato del giudice, nel caso del silenzio, si basa su un’attività vincolata, priva dunque di discrezionalità, anche nella valutazione dei fatti. Tale attività è volta a impedire lo sconfinamento dei poteri del giudice.

Qualora ricorra l’ipotesi di travalicamento dei limiti esterni, a giudicare sarà la Corte di Cassazione, ex art. 111 ultimo comma della Cost.

Resta comunque da specificare che il limite al sindacato giurisdizionale muta a seconda che si faccia esplicito riferimento all’atto o al rapporto.

Se oggetto dell’azione è l’atto, il giudice è legittimato a svolgere una valutazione sulla legittimità della scelta tecnica effettuata dalla P.a.; al contrario, se in discussione è posto il rapporto, il giudice deve valutarlo per il suo intero.

Il vaglio del giudice amministrativo

A tal riguardo occorre in primis rilevare che non si può escludere una verifica del rapporto sostanziale, se la pretesa sostanziale del privato risulti infondata. Infatti la palese infondatezza della pretesa sostanziale impedisce comunque l’accoglimento del ricorso, anche se, in astratto, è ipotizzabile l’inadempimento dell’amministrazione all’obbligo di provvedere. In altri termini, è inutile accertare l’inadempimento dell’amministrazione di provvedere, se comunque la pretesa del privato risulti infondata nel merito e quindi priva di possibile realizzazione concreta.

Con la modifica del maggio 2005, occorre vagliare il nuovo inciso di cui all’art. 2 comma 5 della L. 241/90, per cui: “il giudice può conoscere del fondamento dell’istanza”.

Innanzitutto il verbo “può”, lungi dal rappresentare la finestra attraverso la quale legittimare qualunque tipo di sindacato del giudice, (altrimenti il legislatore avrebbe utilizzato il verbo dovere oppure semplicemente il tempo presente del verbo conoscere in senso deontologico) sembra invece suggerire precisi limiti alla pronuncia giurisdizionale in un duplice direzione.

In primo luogo, nel caso di attività discrezionale della pubblica amministrazione, il giudice non può e non deve (dopo la declaratoria di illegittimità del silenzio della PA), statuire in ordine al contenuto del provvedimento da adottare, pena un’indebita ingerenza nell’attività amministrativa.

In secondo luogo il rispetto del principio della necessaria corrispondenza tra chiesto e pronunciato (art.112 c.p.c) e quindi sostanzialmente il vincolo del giudice a pronunciarsi nei limiti della domanda e non oltre tali limiti, implica che il giudice può conoscere della fondatezza nel merito della pretesa del ricorrente, solo se questi ne abbia fatto esplicita richiesta, ma questo, si ripete, solo nel caso in cui non venga in rilievo un’attività discrezionale della PA. Tale vincolo è poi ripreso all’art. 34 co 1 c.p.a. :” in caso di accoglimento, il giudice”- si pronuncia– nei limiti della domanda…”.

Pertanto il “può” di cui all’art. 2 comma 5 L.241/90 facoltizza il giudice a pronunciarsi nel merito della domanda dell’attore, qualora vi sia un’esplicita richiesta del ricorrente e l’attività della pubblica amministrazione non sia connotata da margini di discrezionalità.

E’ bene sottolineare che comunque il giudice non può in ogni caso pronunciarsi su poteri amministrativi ancora non esercitati, ex art. 34 co. 2 c.p.a.

A tale riguardo è evidente come il codice del processo abbia delimitato fortemente il sindacato del giudice nell’azione avverso il silenzio. Ad abundantiam, il giudice può intervenire solo quando: si tratti di attività vincolata; non residuino margini di esercizio di discrezionalità e non residuino adempimenti istruttori.

In conclusione, se il ricorso risulta fondato, il giudice dapprima ordina all’Amministrazione di provvedere entro un termine ex art. 34 co. 1 lett. B); poi, condanna la stessa al pagamento di una data somma ex art. 34 co. 1 lett. C).

La giurisdizione del G.A. nei casi di silenzio rientra tra le ipotesi di giurisdizione esclusiva ex art. 133 co. 1 n. 3) c.p.a.

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