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Facebook: obbligo di cancellare contenuti illeciti e similari



La Corte Ue ha stabilito che Facebook, nella veste di prestatore di hosting, è tenuto a rimuovere i contenuti illeciti e quelli di contenuto simile successivi- La Corte di Giustizia Europea, chiamata a pronunciarsi in via pregiudiziale sull'interpretazione dell'art. 15 paragrafo 1 della Direttiva UE 2000/31, nella sentenza del 3 ottobre ha chiarito che i giudici degli Stati membri possono ordinare a Facebook, nella veste di prestatore di hosting non solo di rimuovere contenuti illeciti, ma anche di eliminare quelli successivi, se simili a quello già dichiarato illecito e di bloccarne l'accesso. Non che Facebook debba controllare preventivamente tutti i contenuti pubblicati dai propri utenti. Nel momento in cui però è un giudice a chiedere l'eliminazione di un contenuto illecito in quanto offensivo, come nel caso di specie, dell'onore di una persona, Facebook è tenuto a rimuovere e bloccare sia quello segnalato che quelli successivi se equivalenti a quello già dichiarato contrario alla legge. Tutto ciò a livello mondiale e non solo comunitario, nell'ambito del relativo diritto internazionale.

  1. La vicenda processuale

  2. La questione pregiudiziale rimessa alla CGUE

  3. Facebook deve rimuovere i contenuti illeciti, compresi quelli equivalenti

La vicenda processuale


Una signora agisce contro la Facebook Iireland Limited, in relazione alla pubblicazione sulla pagina di un utente ospitata all'interno del social network Facebook, di un messaggio dal contenuto offensivo e lesivo del suo onore.

Per la soluzione della controversia viene avanzata alla Corte di Giustizia Europea una domanda di pronuncia pregiudiziale, che richiede la corretta interpretazione dell'art. 15 paragrafo 1 della Direttiva 2000/31/CEE del Parlamento e del Consiglio Europeo, emessa l'8 giugno 2000, che si occupa di alcuni aspetti giuridici dei servizi della società dell'informazione, con particolare riguardo al commercio elettronico.

Per comprendere al meglio la questione vediamo cosa prevede l'art 15, paragrafo 1 di detta direttiva: "Nella prestazione di servizi di cui agli articoli 12, 13 e 14, gli Stati membri, che un organo giurisdizionale o un'autorità amministrativa esiga che il prestatore impedisca una violazione o vi ponga fine nonché la possibilità, per gli Stati membri, di definire procedure per larimozione delle informazioni o la disabilitazione dell'accesso alle medesime."

La questione pregiudiziale rimessa alla CGUE


In pratica si chiede alla Corte di Giustizia Europea di stabilire se il paragrafo 1 dell'art 5 della direttiva 2000/31:


  • impedisce a un giudice di uno Stato membro di poter ordinare a un prestatore di hosting, Facebook in questo caso, di rimuovere le informazioni memorizzate dallo stesso, il cui contenuto è identico a quello di una precedente informazione già dichiarata illecita e di bloccare l'accesso alle stesse, qualunque sia l'autore della richiesta di memorizzazione delle stesse;

  • se la norma impedisce, sempre a un giudice di uno Stato membro, di ordinare a un prestatore di servizio di hosting, la rimozione delle informazioni memorizzate, il cui contenuto risulta essere equivalente a quello di un'informazione già dichiarata illecita precedentemente e di bloccare l'accesso alle stesse;

  • se tale ingiunzione può essere estesa a livello mondiale.


Facebook deve rimuovere i contenuti illeciti, compresi quelli equivalenti


La Corte Europea dopo un'attenta disamina della normativa in materia, con la sentenza del 3 ottobre 2019 emessa in relazione alla causa C-18/18 conclude che i prestatori di hosting, Facebook nel caso di specie, sono obbligati a rimuovere i contenuti identici o equivalenti di un contenuto precedente che è già stato dichiarato illecito.

Come osservato giustamente dalla Corte del resto "Poiché un social network facilita la trasmissione rapida delle informazioni memorizzate dal prestatore di servizi di hosting tra i suoi vari utenti, sussiste un rischio reale che un'informazione qualificata come illecita possa essere successivamente riprodotta e condivisa da un altro utente di detto network."

Questo non significa, come fa presente la Corte nella sentenza che si può imporre a un prestatore di servizi di hosting l'obbligo di esercitare un potere di sorveglianza generale su tutte le informazioni che vengono scritte dagli utenti e che vengono di conseguenza memorizzate da Facebook, così come non gli si può chiedere di attivarsi nel ricercare fatti o situazioni indicative di condotte illecite.

Vero però che non si può impedire al giudice di uno Stato membro d'ingiungere al prestatore di un servizio di hosting di attivarsi a posteriori, rimuovendo tutte le informazioni memorizzate di contenuto identico o equivalente a un contenuto precedente già dichiarato illecito, bloccando l'accesso alle stesse. Questo potere riconosciuto ai giudici di ingiungere la rimozione e il successivo blocco all'accesso non deve valere solo a livello comunitario, bensì a livello mondiale, nell'ambito del diritto internazionale pertinente, di cui gli Stati devono tenere conto.


Cassazione sentenza 3 ottobre 2020

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