Esecuzione improcedibile se il concessionario rimane unico creditore
Secondo la giurisprudenza di merito, la rinuncia degli altri creditori ferma anche la procedura avviata dal Fisco ai sensi del codice di procedura civile e avente per oggetto l’unico immobile adibito ad abitazione principale, di proprietà del debitore.
L’art. 76, c. 1, lett. a) D.P.R. 602/1973 dispone che l’agente della riscossione non può dar corso all’espropriazione, se l’unico immobile di proprietà del debitore (con esclusione delle abitazioni di lusso) è adibito a uso abitativo e il debitore vi risiede anagraficamente.
Accade che l’Agenzia delle Entrate-Riscossione (ex Equitalia), pur vantando un credito inferiore a € 120.000,00 e pur non avendo iscritto ipoteca, intervenga in un procedimento di espropriazione immobiliare promosso da altro creditore ai sensi del codice di procedura civile sulla prima casa di abitazione del debitore e chieda di partecipare al riparto della somma ricavata dalla vendita forzata: modus operandi assolutamente legittimo, in quanto l’esecuzione è iniziata da un altro soggetto (creditore procedente) e l’agente della riscossione partecipa in qualità di creditore intervenuto.
Può inoltre accadere (anche di sovente) che il creditore procedente rinunci in pendenza della procedura, avendo trovato un accordo con il debitore e che così, in assenza di altri intervenuti, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione si trovi a rivestire il ruolo di creditore procedente: in questo modo si realizza una fattispecie processuale identica a quella che si sarebbe verificata se l’agente della riscossione, fin dall’origine, avesse promosso l’esecuzione in qualità di procedente. Si pone dunque il problema di stabilire se l’Agenzia delle Entrate possa dare impulso alla procedura in presenza delle medesime cause ostative che non le avrebbero consentito di promuoverla ab origine. La giurisprudenza di merito (Trib. Ragusa 21.09.2016 – Trib. Vercelli 6.02.2016) sembrerebbe privilegiare l’orientamento che esclude la possibilità per l’agente della riscossione di continuare l’esecuzione.
È stato infatti evidenziato che, con l’art. 76 D.P.R. 602/1973, il legislatore ha voluto impedire che, per la soddisfazione di debiti tributari, venga espropriata la prima casa di abitazione del debitore.
Inoltre, si è voluto evitare che, qualora il bene pignorato non costituisca l’unico immobile poiché il debitore è proprietario di altri immobili, venga espropriato l’immobile se non per un debito di rilevante importo (non inferiore a 120.000 euro) e previa iscrizione di ipoteca per un tempo sufficiente a consentire una diversa soluzione per l’estinzione dell’obbligazione tributaria. Anche se l’art. 76 è contenuto nel D.P.R. 602/1973 nella parte dedicata alle “Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito” (attività propria dell’agente della riscossione), non può non applicarsi anche all’esecuzione immobiliare disciplinata dal codice di procedura civile, qualora l’agente della riscossione rivesta in tale procedura il ruolo di “creditore procedente”, sia per averlo assunto ab origine, sia per averlo assunto in seguito alla rinuncia di altro creditore procedente.
Se si ammettesse una diversa conclusione, l’azione esecutiva dell’agente della riscossione sarebbe soggetta ai limiti dell’art. 76 D.P.R. 602/1973 quando fosse procedente originario, mentre sarebbe libera nella procedura esecutiva ai sensi del codice di procedura civile qualora egli fosse “procedente” in seguito alla rinuncia dell’originario procedente. In questi termini, sarebbe evidente la disparità di trattamento tra un contribuente soggetto all'azione esecutiva esattoriale e quello soggetto all’azione esecutiva ordinaria.