Risoluzione del contratto: la diffida ad adempiere deve contenere l’avvertimento formale
Questo il dictum, che ricalca alcuni precedenti di legittimità (si veda infra), espresso dal Tribunale in composizione monocratica di Trento, nella sentenza depositata il 20 marzo 2017, n. 301, con la quale ha rigettato le pretese di un promissario acquirente, al contempo confermando la ritenzione della caparra per la parte alienante.
La vicenda
Nel contratto preliminare di vendita di un bene immobile, datato 28/12/2012, non veniva precisato termine alcuno per il definitivo, bensì solo la data del 28/2/2013 per la consegna dell’appartamento, e che, tuttavia, non avveniva. Con missiva del 23/5/2013 l’attore, promissario acquirente, assegnava alla controparte il termine del 21/6/2013 per la conclusione del definitivo, tuttavia omettendo la dichiarazione afferente alla risoluzione del contratto, prescritta all’art. 1454 c.c., bensì semplicemente riservandosi, decorso il termine di sette giorni assegnato alla convenuta per dare riscontro alla lettera, di tutelare le proprie ragioni innanzi l’autorità giudiziaria. Con lettera del 14/6/2013, veniva quindi esercitato il recesso ai sensi dell’art. 1385(rubricato “Caparra confirmatoria”), comma II, c.c. e, successivamente, adita la giustizia per chiedere l’accertamento dello scioglimento del contratto preliminare per effetto del descritto recesso.
La decisione
Il giudice del capoluogo trentino ha respinto le ragioni addotte dall’attore (nella specie, in veste di promissario acquirente) dal momento che, in estrema sintesi, in assenza di un termine fissato nel contratto, non è possibile affermare con precisione se e quando si verifichi l’inadempimento, puntualizzando che detto termine non può essere unilateralmente determinato da una delle parti, bensì può essere soltanto il risultato di un accordo modificativo del contratto, esercitato nelle forme di cui all’art. 1321 c.c. (“Il contratto è l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale”). Inoltre ha accordato al convenuto (promittente alienante) il diritto di ritenere la caparra confirmatoria già versata dall’attore in sede in preliminare.
Il termine
Più in particolare, evidenziando che il preliminare non recava termine alcuno, il giudice rileva l’impossibilità di affermare con precisione, se e in che momento, si fosse verificato il mancato adempimento delle obbligazioni dedotte. Ed ancora, precisa che se il termine difetta, può essere introdotto, unicamente, attraverso un accordo modificativo ai sensi dell’art. 1321 c.c., con ciò escludendo che il contenuto negoziale possa essere modificato attraverso qualsiasi dichiarazione unilaterale, e pur rimanendo salva la possibilità di attivare il congegno normativo di cui all’art. 1454 c.c.
La diffida ad adempiere
A mente del comma 1 dell’articolo da ultimo citato, “Alla parte inadempiente l’altra può intimare per iscritto di adempiere in un congruo termine, con dichiarazione che, decorso inutilmente detto termine, il contratto s’intenderà senz’altro risoluto”. E, ancora, il comma III, statuisce che decorso tale termine senza che il contratto sia stato adempiuto, questo è risoluto di diritto. Nella specie, la missiva formulata dal promissario acquirente, nell’assegnare al promittente venditore un termine per la conclusione del rogito, non rivestiva i crismi pretesi dalla norma in esame. Più in particolare, la disposizione de qua, come sopra riportato, richiede che venga esplicitato, in modo palese, che in difetto di adempimento il contratto si intenderà risolto di diritto, quindi ai sensi e per gli effetti della medesima disposizione. Ancor più nel dettaglio, il giudice trentino, con magistrale analisi, osserva che l’attore si era soltanto riservato “di agire in sede giudiziaria come ritenuto più opportuno” e, inoltre, che siffatta dizione non esclude la facoltà contraria a quella pretesa dall’art. 1454 c.c., cioè di richiedere l’adempimento del contratto in conformità all’art. 2932 c.c.
L’inadempimento e la sua gravità
Il promittente venditore, da parte sua, in riscontro della succitata missiva, invitava la controparte a presentarsi, in una certa data fissa, presso il notaio, al fine di stipulare il rogito, al contempo formulando l’avvertimento che l’omesso rispetto di termine siffatto avrebbe comportato la risoluzione del contratto preliminare di compravendita. Ciò posto, l’inadempimento è stato pertanto addossato al promissario acquirente e il giudice ha avallato la richiesta della parte promittente a ritenere la caparra già incassata al preliminare. Va rammentato che affinché l’esercizio del recesso sia legittimo, occorre un fatto “grave”, il quale indichi che la condotta di una parte sia preordinata ad impedire la conclusione del contratto definitivo. Tali elementi ben potrebbero essere rinvenuti anche nella circostanza che non sia stato rispettato il termine contrattuale, previsto per la consegna del bene, fissato al 28 febbraio, bensì il giudice osserva che ciò diviene irrilevante dal momento che, in epoca successiva, e nonostante tali fatti, il promissario acquirente ha dichiarato la propria disponibilità a concludere, comunque, il contratto definitivo.
A tale data, pertanto, e sebbene gli inadempimenti addebitabili alla convenuta, l’attore (promissario acquirente) manifestava la volontà negoziale tesa a conservare gli effetti del contratto preliminare, indicando un termine per la conclusione del contratto definitivo. Si ribadisce, con lettera del 11/6/2013, la convenuta manifestava l’intenzione di addivenire alla conclusione del contratto definitivo al prezzo indicato nel contratto preliminare e, pertanto, a tale data si deve registrare la volontà di entrambe le parti di addivenire alla conclusione del definitivo, nella perdurante assenza di un termine contrattuale. Permanendo la vigenza del contratto preliminare, interviene in seguito la lettera del 26/6/2013, con la quale la convenuta assegna all’attore il termine sino al 16/7/2013 per la conclusione del contratto definitivo, fissando in tale data un appuntamento innanzi al notaio. Tale lettera costituisce diffida ad adempiere ai sensi dell’art. 1454 c.c., giacché in essa la convenuta dichiara che, in caso di mancato rispetto del termine da parte dell’attore, il contratto preliminare dovrà intendersi risolto. Secondo il giudice trentino, non essendo il contratto definitivo stato concluso nel termine di cui alla diffida ad adempiere della convenuta, il preliminare deve intendersi risoluto di diritto, ai sensi dell’art. 1454, comma 3 c.c., alla data del 16/7/2013.
I due precedenti
La sentenza in esame si pone in linea con l’orientamento espresso da due significative pronunce di legittimità, puntualmente citate. La prima (Cass., sez. III civile, sentenza 28 febbraio 2012, n. 2999) concerne più propriamente l’istituto della risoluzione di diritto del contratto per diffida ad adempiere, ai sensi dell’art. 1454 c.c. che, secondo il collegio di giudici ermellini, non preclude alla parte adempiente, nel caso in cui sia stata contrattualmente prevista una caparra confirmatoria, l’esercizio della facoltà di ottenere, secondo il disposto dell’art. 1385 c.c., in luogo del risarcimento del danno, la ritenzione della caparra ovvero la restituzione del suo doppio, con la conseguenza che, sebbene spetti al giudice di accertare che l’inadempimento dell’altra parte non sia di scarsa importanza, non è poi onere della parte adempiente provare anche il danno nell’an e nel quantum debeatur. La seconda (Cass., sez. II civile, sentenza 25 ottobre 2010, n. 21838) chiarisce che il termine per l’adempimento può essere ritenuto essenziale ai sensi e per gli effetti dell’art. 1457 c.c., unicamente quando, all’esito di indagine istituzionalmente riservata al giudice di merito, da condursi alla stregua delle espressioni adoperate dai contraenti, nonché della natura e dell’oggetto del contratto, risulti chiaramente la volontà delle parti di ritenere perduta l’utilità economica del contratto con l’inutile decorso del termine stesso. Il collegio di legittimità, in quell’occasione ha fornito un’importante precisazione, e cioè che siffatta volontà non può desumersi soltanto dall’uso dell’espressione “entro e non oltre” quando non risulti dall’oggetto del negozio, ovvero da specifiche indicazioni delle parti, che queste hanno inteso considerare perduta l’utilità prefissasi in ipotesi di conclusione del negozio stesso oltre la data considerata.
La ritenzione della caparra confirmatoria
La convenuta chiedeva di poter ritenere la caparra confirmatoria. Orbene, nell’accordare la richiesta, il giudice rammenta il principio espresso nella prima delle pronunce succitate, ovvero che la risoluzione di diritto del contratto per diffida ad adempiere, ai sensi dell’art. 1454 c.c., non preclude alla parte adempiente, nel caso in cui sia stata contrattualmente prevista una caparra confirmatoria, l’esercizio della facoltà di ottenere, secondo il disposto dell’art. 1385 c.c. (il comma II recita: “Se la parte che ha dato la caparra è inadempiente, l’altra può recedere dal contratto, ritenendo la caparra; se inadempiente è invece la parte che l’ha ricevuta, l’altra può recedere dal contratto ed esigere il doppio della caparra”), in luogo del risarcimento del danno, la ritenzione della caparra ovvero la restituzione del suo doppio, con la conseguenza che, sebbene spetti al giudice di accertare che l’inadempimento della controparte “non sia di scarsa importanza”, non risulta poi onere della parte adempiente provare anche il danno nell’an e nel quantum debeatur. Il Tribunale di Trento evidenzia, quindi, che l’inadempimento dell’attore rispetto al termine del 16/7/2013 può ritenersi “importante” ai sensi dell’art. 1455 c.c.
Infatti, il 23/5/2013, ovvero dopo cinque mesi, l’attore manifestava interesse a concludere l’affare di cui al contratto preliminare indicando la data del 21/6/2013 per la conclusione del definitivo. Secondo il giudice non appare giunto con un ritardo significativo, né rappresenta fonte di pregiudizio, il riscontro fornito da parte convenuta in data 11/6/2013, mediante il quale chiede conferma e dettagli in merito all’appuntamento fissato innanzi al notaio. Il Tribunale trentino, conclude quindi che in siffatta successione cronologica, resta irrilevante, unitamente a quelle già esposte, la circostanza che detto riscontro, ad opera della convenuta, sia giunto in ritardo rispetto al termine di sette giorni assegnato dall’attore, alla medesima convenuta, nella missiva del 23/5/2013: sia in quanto, intercorsa la risposta della convenuta, v’era ancora tempo utile per stipulare il definitivo il 21/6/2013, sia perché l’attore non aveva intanto assunto alcuna ulteriore iniziativa, né giudiziale che stragiudiziale. E tuttavia, ciò nonostante, il 14/6/2013 l’attore dichiarava di recedere, ai sensi dell’art. 1385, comma 2, c.c. dal contratto preliminare, dichiarazione addirittura intervenuta prima del termine del 21/6/2013, indicato dall’attore medesimo.
Tribunale di Trento, sez. civ., sentenza 20 marzo 2017, n. 301