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La Procura alle liti rilasciata all'estero


Una delle attività prodromiche all'agire in nome e per conto dei nostri assistiti è l’autenticazione delle firme che i clienti appongono sotto le procure alle liti che ci conferiscono.

Un rituale per molti oramai consolidato come un leitmotiv delle attività di fascicolazione e collazione delle pratiche che gestiamo nei nostri studi.

Ma nell’epoca della libera circolazione di persone, beni e servizi, in ossequio ai pilastri che reggono l’UE e gli scambi internazionali in genere, il rilascio della procura alle liti da parte di un cliente che viva all’estero non è sempre parva e semplice materia, come abitualmente accade.

Troppo spesso, infatti, irregolarità non tanto nascoste consentono ad una controparte (attenta) di attaccare la validità della nostra procura, con tutte le conseguenze che ne derivano, in primis per quel che concerne la legittimità delle pretese dei nostri assistiti e dell’azione spiegata.

Il rilascio di procura all’estero sconta i limiti del potere di autenticazione che ci viene territorialmente riconosciuto. Bisogna partire dall’assunto che la sottoscrizione della procura è un’autentica di una firma e – come tale – soggiace alle stesse prescrizioni normative.

L' autentica della sottoscrizione consiste nell'attestazione di un pubblico ufficiale che la firma è stata apposta in sua presenza, dopo essersi accertato dell'identità della persona che sottoscrive: viene regolata, quindi, dalle leggi dello Stato nel quale la firma è rilasciata (o apposta).

Anche l’avvocato, pertanto, nell’espletare i suoi poteri di pubblico ufficiale (per quanto di spettanza conferitigli dalla legge), deve tenere a mente che non può autenticare sottoscrizione di procura alle liti rilasciata all’estero, poiché il potere di autenticazione che gli compete deriva dalla legge dello Stato italiano, legge di rilievo pubblicistico.

E quindi? Come comportarsi nel momento in cui ci si trovi a difendere lo zio d’America che deve tutelare le sue ragioni in Italia?

A fugare i consueti dubbi che ci imbrigliano nella nostra nobile professione, sono intervenuti gli ermellini romani, i quali, con numerose sentenze, hanno stabilito che la sottoscrizione di procura alle liti a noi rilasciata da un soggetto estero, deve essere autenticata da un notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato dalla legge dello Stato di provenienza.

Tanto perché i limiti di autenticazione a noi avvocati conferiti non valicano i confini del territorio nazionale ( cfr. Cass. civ., sez. un., 15 gennaio 1996, n. 264; Cass. civ., 14 novembre 2008, n. 27282;

Cass. civ., 13 marzo 2007, n. 5840; Cass. civ., 3 giugno 2003, n. 8867; Cass. civ., 2 giugno 1988, n. 3744)

L'attività di autentica del difensore italiano, pertanto, si ferma a livello territoriale: si ribadisce che il potere di autenticazione non si estende oltre i limiti del territorio nazionale.


Se vogliamo agire in nome e per conto di un cliente che risiede all'estero dovremo, quindi, esibire una procura in atto separato sotto forma di atto pubblico o scrittura privata autenticata da un pubblico ufficiale a ciò abilitato.


Ma il tema interessa molti aspetti ed è opportuno analizzarli singolarmente.


La fattispecie si articola in modo differente a seconda se si tratti di procura rilasciata in Italia dallo straniero o dall'italiano residente all'estero (o dallo straniero sic et simpliciter).


Entrambi possono conferire procura speciale (in calce o a margine) sul territorio nazionale, e si badi, solo sul territorio nazionale: conditio sine qua non per la validità della procura alle liti è la loro presenza in Italia; in tal caso, è la sola condizione di validità della procura alle liti, proprio perché il rilascio all'estero soggiace alla normativa territoriale che disciplina i poteri di autenticazione del difensore.


Ma è opportuno specificare che la procura alle liti rilasciata da italiano o straniero residenti all'estero (sotto forma di procura speciale in calce o a margine, qualora dimorino in territorio nazionale) ha effetti diversi qualora la procura venga rilasciata all'estero.

Giurisprudenza consolidata afferma che la sottoscrizione in calce o a margine certificata da un difensore esercente in Italia, si presume rilasciata in territorio dello Stato, quantunque il soggetto che sottoscrive risieda all'estero, fino a prova contraria di chi abbia interesse a contestarne la validità (Cass. civ., 30 giugno 2016, n. 13482; Cass. civ., 18 febbraio 2014, n. 3823; Cass. Civ., 13 marzo 2007, n. 5840; Cass. civ., sez. un., 28 febbraio 2007, n. 4634; Cass. civ., 25 luglio 2000, n. 9746; Cass. civ., sez. un., 16 novembre 1998, n. 11549).

Ma cosa accade qualora qualche collega sbrigativo certifichi come rilasciata in Italia una sottoscrizione magari speditagli per posta o in altro modo ottenuta, mentre la firma sia stata apposta in territorio straniero?

Bisogna tener presente che la presunzione di rilascio in territorio nazionale può essere vinta da prova contraria: il che – qualora ottenuta prova a carico – comporterebbe notevoli risvolti deontologici e penali a carico dell'avvocato certificante.

Chi ha interesse a fornire la prova contraria può deferire controparte ad interrogatorio formale proprio sulla circostanza dell'avvenuto rilascio della procura non in Italia; in caso di mancata risposta, il giudice - tenuto conto anche di altri elementi di giudizio che vadano ad integrare negativamente il convincimento che la firma sia stata apposta all'estero - può ritenere che sia stata fornita la prova contraria al rilascio in Italia della detta procura (Cass. civ., 13 gennaio 2011, n. 665).

Secondo una recente pronuncia della Corte di Cassazione, tale prova contraria può desumersi da una congerie di elementi (l'assenza di ogni indicazione del luogo e della data di rilascio della procura, la pacifica stabile residenza della parte in un altro paese o la mancata dimostrazione di un suo ingresso in Italia), nonché dal comportamento processuale della parte e, in particolare, dalla mancata risposta all'interrogatorio formale (Cass. civ., 30 giugno 2016, n. 13482).

Qualora, invece, la procura sia stata rilasciata all'estero senza tema di smentita, secondo la Suprema Corte, il rilascio di procura alle liti – ossia il conferimento di rappresentanza tecnica in giudizio – è soggetto alla legge italiana(Cass. civ., sez. un., 15 gennaio 1996, n. 264).

Il principio trova fondamento nell'art. 27 disp. prel. c.c.: «La competenza e la forma del processo sono regolate dalla legge del luogo in cui il processo si svolge»; ma a regolare estensivamente la materia è intervenuta la L. 31 maggio 1995, n. 218, art. 12, : «Il processo civile che si svolge in Italia è regolato dalla legge italiana».

Secondo il principio di territorialità del diritto processuale, lo svolgimento del processo in Italia è regolato per tutto il suo corso dalla lex fori (Cass. Civ., 22 maggio 2008, n. 13228; Cass. civ., 25 maggio 2007, n. 12309; Cass. civ., sez. un., 5 maggio 2006, n. 10312).

La procura alle liti, atto sul quale si fonda lo iuspostulandi e l'attività processuale tutta, è quindi parimenti sottoposta alla disciplina di cui sopra, anche per i requisiti di forma e sostanza dell'atto.

Alla luce del composito quadro normativo e codicistico illustrato, la Corte di Cassazione ha aderito alla tesi della dottrina prevalente, secondo la quale il principio di territorialità del diritto processuale non deve essere intaccato qualora la procura alle liti sia stata conferita per atto rogato da un notaio di un Paese straniero il quale abbia operato in conformità alla legge di quel Paese; la giurisprudenza di legittimità ha stabilito che la procura alle liti utilizzata in un giudizio che si svolge in Italia, anche se rilasciata all'estero, è disciplinata dalla legge processuale italiana, la quale, laddove consente l'utilizzazione di un atto pubblico o di una scrittura privata autenticata, rinvia però al diritto sostanziale (Cass. civ., 4 novembre 2015, n. 22559; Cass. civ., 25 maggio 2007, n. 12309; Cass. civ., sez. un., 5 maggio 2006, n. 10312; Cass. civ., 29 aprile 2005, n. 8933; Cass. Civ., 12 luglio 2004, n. 12821; Cass. civ., 17 settembre 2002, n. 13578; Cass. civ., sez. un., 15 gennaio 1996 n. 264): in tali ipotesi la validità della forma del mandato va valutata secondo la regola della lex loci, ossia della legge del luogo in cui la procura è rilasciata.

La Suprema Corte richiede che l'atto redatto all'estero sia equivalente in forma ed efficacia a quello che la legge italiana esige per l'attività processuale. Pertanto devono essere rilevabili – a pena di invalidità dell'atto – gli elementi tipici dell'autenticazione: l'accertamento dell'identità del soggetto che sottoscrive la procura e l'apposizione della firma in presenza di pubblico ufficiale (Cass. civ., 25 maggio 2007, n. 12309).

Affinché la procura rilasciata all'estero possa essere atto valido – e quindi validamente utilizzata in ambito processuale senza timori di aggressioni che vulnerino le attività svolte – deve essere rilasciata dinanzi ad un pubblico ufficiale abilitato dalle leggi del luogo e soddisfare i requisiti necessari che la legge nazionale richiede.

Riassumendo, la S.C. afferma, per un verso, che la procura alle liti è atto processuale come tale sottoposto alla lex fori e, per altro verso, che la lex fori rinvia al diritto sostanziale laddove impiega le nozioni di atto pubblico e di scrittura privata autenticata, riguardo alle quali occorrerebbe avere riguardo alla lex loci nei soli limiti della compatibilità.

Ulteriore elemento validante di una procura rilasciata all'estero, il combinato disposto degli art. 17 l. 4 gennaio 1968, n. 15 - art. 33 d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, (testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa).

Tale disposizione prevede una rubrica apposita - Legalizzazione di firme di atti da e per l'estero – la quale stabilisce al secondo comma che: «Le firme sugli atti e documenti formati all'estero da autorità estere e da valere nello Stato sono legalizzate dalle rappresentanze diplomatiche o consolari italiane all'estero … Agli atti e documenti indicati nel comma precedente, redatti in lingua straniera, deve essere allegata una traduzione in lingua italiana certificata conforme al testo straniero dalla competente rappresentanza diplomatica o consolare, ovvero da un traduttore ufficiale … Sono fatte salve le esenzioni dall'obbligo della legalizzazione e della traduzione stabilite da leggi o da accordi internazionali».

Nella disamina della validità di procura rilasciata all'estero è necessaria un'ulteriore distinzione, tra l'autenticazione e la legalizzazione.

La prima trova albergo giuridico nell'art. 2703 c.c. e consiste “nella attestazione, da parte di un pubblico ufficiale, che la sottoscrizione è stata apposta in sua presenza. Il pubblico ufficiale deve previamente accertare l'identità della persona che sottoscrive”. Scopo della norma attribuire certezza legale alla provenienza della sottoscrizione dalla persona che appare essere autrice della medesima.

La nozione di legalizzazione è fornita dall'art. 15 della citata l. 4 gennaio 1968, n. 15 : “La legalizzazione di firme è l'attestazione ufficiale della legale qualità di chi ha apposto la propria firma sopra atti, certificati, copie ed estratti, nonché della autenticità della firma stessa.” ed ha quindi un contenuto più ampio.

La procura autenticata da pubblico ufficiale abilitato nello Stato estero ha la stessa funzione dell'istituto in applicazione all'art. 83 c.p.c.; la legalizzazione è indispensabile al fine di far constare che colui il quale ha proceduto alla autenticazione è effettivamente — sia sotto il profilo dell'identità che dei poteri — il pubblico ufficiale che appare avervi provveduto.

Qualora l'atto sia carente di legalizzazione è sì valido ma nell'ambito territoriale di provenienza mentre è inefficace in Italia fintanto che non venga legalizzato secondo i termini e le finalità di cui sopra.

Così come un atto autenticato non può sopperire ad una mancata legalizzazione, parimenti un atto legalizzato non può supplire ad una carenza di autenticazione, essendo gli istituti finalizzati a sostanziare due diversi effetti in ambito processuale.

Per questo è inefficace in Italia una procura alla lite rilasciata con scrittura privata priva di autenticazione, mentre il requisito non può ritenersi adempiuto in conseguenza della successiva legalizzazione dell'atto, in quanto questa consiste soltanto nell'attestazione dell'autenticità e della provenienza di una firma, apposta da un pubblico ufficiale o funzionario o da un esercente un servizio pubblico, su un atto dallo stesso formato, mentre l'autenticazione riguarda l'attestazione in ordine alla firma di un soggetto che, previa dimostrazione della propria identità, ha sottoscritto in presenza del pubblico ufficiale (Cass. civ., 15 gennaio 1996 n. 264).

Alla luce di quanto esposto, pertanto, in materia di scrittura privata autenticata all'estero, è necessaria sia l'autenticazione – desumibile chiaramente – che la sottoscrizione – apposta in presenza di un notaio o pubblico ufficiale che abbia accertato l'identità del sottoscrittore – in ossequio alla lex fori italiana.

Non rileva, di contro, che l'autenticazione non sia intervenuta contestualmente alla sottoscrizione ma successivamente (Cass. civ., 22 maggio 2008, n. 13228; Cass. civ., sez. un., 5 maggio 2006, n. 10312), con l'ulteriore conseguenza che la procura è invalida qualora il notaio non abbia attestato che la sottoscrizione è stata apposta alla sua presenza (Cass. civ., 17 settembre 2002 n. 13578).

Ovviamente una procura rilasciata all'estero, secondo tutte le prescrizioni elencate, affinchè possa essere utilizzata nello Stato, ai fini dell'applicabilità della legge processuale italiana, necessita di traduzione in lingua italiana, ex art. 12 L. 218/95.

La traduzione può non sussistere al momento della costituzione in giudizio, essendo considerata, la mancata traduzione del documento, redatto in lingua straniera, una nullità relativa, suscettibile di sanatoria, ai sensi dell'art. 157 c.p.c.: può, quindi, esistere al momento della costituzione in giudizio ma anche ottenersi attraverso la nomina di un interprete in corso di causa.

Di sicuro non può essere opposta dalla parte che per tutto il corso del giudizio non abbia contrastato la legittimazione del difensore: sempre l'art. 157 c,p,c, citato, al terzo comma, stabilisce che tale condotta esprime rinuncia tacita all'eccezione (Cass. civ., 01 agosto 2002, n. 11434).

Di recente, però, la S.C., ha affermato che la procura speciale alle liti rilasciata all'estero, sia pur esente dall'onere di legalizzazione da parte dell'autorità consolare italiana, nonché dalla cd. apostille, in conformità alla Convenzione dell'Aja del 5 ottobre 1961, ovvero ad apposita convenzione bilaterale, è nulla, agli effetti dell'art 12 della legge 31 maggio 1995, n. 218, ove non sia allegata la traduzione — addirittura — dell'attività certificativa svolta dal notaio, e cioè l'attestazione che la firma sia stata apposta in sua presenza da persona di cui egli abbia accertato l'identità, vigendo pure per gli atti prodromici al processo il principio generale della traduzione in lingua italiana a mezzo di esperto (Cass. civ., 29 maggio 2015, n. 11165). E quindi anche a quest'aspetto noi avvocati dobbiamo prestare attenzione.

Si dovrebbe specificare che la procura rilasciata all'estero mediante atto pubblico notarile potrebbe (o dovrebbe) essere depositata presso l'archivio notarile; ma la Cassazione ha affermato che il deposito previsto dalla legge notarile è richiesto “soltanto quando la produzione dell'atto si renda necessaria ai fini della registrazione e della trascrizione di atti notarili diretti a farne valere gli effetti nei confronti dei terzi, non anche quando si tratta di conferimento di poteri da far valere davanti all'autorità giudiziaria, essendo il giudice, in tal caso, preposto a vagliarne la non contrarietà all'ordine pubblico italiano” (Cass. civ., 8 maggio 1995, n. 5021; Cass. civ., 21 febbraio 1996, n. 1340; Cass. civ., 14 febbraio 2000, n. 1615).

Gli accordi e le convenzioni internazionali disciplinano, però, caso per caso e ratione materiae – a seconda dei paesi aderenti – le differenti modalità di autenticazione e legalizzazione della procura. Così come la Convenzione dell'Aja del 1961 ha introdotto l'Apostille, una certificazione che convalida qualsiasi atto pubblico, conferendo a questo valore giuridico in ambito internazionale.

Quel che rileva, ai fini processuali, è la validità dell'atto; qualora tale non sia, la tempestività della contestazione sia sotto 'aspetto formale che sostanziale garantiranno un'efficace contestazione alle pretese di controparte. Così come occorre considerare attentamente tutti gli aspetti elencati prima di costituirci in giudizio, onde far sì che la nostra procura non venga dichiarata nulla su eccezione di un collega attento che ben conosca la duplice funzione di autenticazione richiesta per una procura rilasciata all'estero.

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