Responsabilità penale dell'Amministratore di Condominio per appropriazione indebita
Certamente costituisce una classica ipotesi di reato commesso da chi gestisce o amministra beni altrui l’appropriazione indebita, reato che, nel caso di Amministratore di Condominio si presenta per di più nella forma aggravata di cui all'art. 61 c.p., perché commessa con “abuso di relazioni originate da prestazione d'opera”. Il reato di appropriazione indebita può assumere rilevanza anche con riferimento alla violazione dell’obbligo di consegna o restituzione della documentazione contabile e non solo con l’appropriazione di somme di danaro. Laddove alla mancata restituzione dei documenti segua (insieme o in alternativa ad una denuncia per appropriazione indebita) la condanna da parte del Giudice Civile alla riconsegna dei documenti, la disubbidienza a tale provvedimento costituirà un reato autonomo punibile ex art. 388 c.p.. Infine, in tema di mancata restituzione della documentazione contabile e di falsa redazione del rendiconto, si ravvisa il reato di truffa.
I reati contro il patrimonio dell’amministratore di Condominio: l’appropriazione indebita (art. 646 c.p.)
Assume una certa rilevanza l’ipotesi in cui l’amministratore di condominio, in quanto amministratore di un ente di gestione, leda il bene del patrimonio individuale dei singoli condomini o del condominio medesimo. In questo caso il comportamento attivo o omissivo dell’amministratore può integrare le fattispecie di appropriazione indebita aggravata o di truffa aggravata.
Costituisce una classica ipotesi di reato commesso da chi gestisce o amministra beni altrui l’appropriazione indebita, la quale presuppone il preesistente possesso di denaro o altri beni mobili in capo al soggetto attivo. L’ appropriazione indebita è un delitto contro il patrimonio che si articola nella condotta di chi si appropria del denaro o della cosa mobile altrui di cui abbia il possesso al fine di procurare a se o ad altri un profitto ingiusto. Come è noto, l’elemento costitutivo del reato di cui all'art. 646 c.p. è costituito dall'esercizio di un potere autonomo sulla res altrui, ed infine il possesso della res mobile altrui, disgiunto dalla proprietà.
Sul piano dell’elemento oggettivo, appare fondamentale delineare la nozione penalistica di possesso. Quest’ultimo può definirsi come un potere di fatto sulla cosa esercitato autonomamente, cioè fuori della sfera di vigilanza diretta di chi abbia - sulla cosa stessa - un potere maggiore. Diversa dalla nozione di possesso è quella di detenzione, la quale viene a restringersi ai soli casi di potere di fatto esercitato sotto la sfera giuridica di sorveglianza di chi abbia su di essa potere maggiore (come - per esempio - lo studioso che consulta un libro in biblioteca).
L'elemento psicologico del reato di appropriazione indebita è il dolo specifico; infatti, l’art. 646 c.p. richiede non soltanto la coscienza e volontà di appropriarsi della cosa mobile altrui (cioè di iniziare a tenerla come se ne fosse il reale proprietario, uti dominus), ma altresì il fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto. In altri termini, l'elemento soggettivo del reato di appropriazione indebita presuppone la consapevolezza di trattenere per sé la cosa, posseduta a qualsiasi titolo, pur sapendo di agire senza averne diritto, ed allo scopo di trarre per sé o per altri una qualsiasi illegittima utilità.
Prima della riforma del 2012 la mancanza di specifiche e coerenti indicazioni legislative circa la necessità di far transitare le somme di spettanza dell’ente condominio su di un apposito conto corrente, faceva sì che si verificasse una possibile confusione tra il patrimonio dell’amministratore e quello del singolo condominio, come anche tra le risorse dei vari condomini gestiti dallo stesso amministratore.
Il novellato art. 1129 c.c. dispone ora come l’amministratore di condominio sia obbligato a far transitare su di un apposito conto corrente bancario o postale, intestato al condominio, tutte le somme ricevute a qualunque titolo dai condomini o da terzi, nonché quelle erogate a qualsiasi titolo per conto del condominio mentre ciascun condomino può prendere visione ed estrarre copia, a proprie spese, della rendicontazione periodica.
Si tratta di condizioni di nuova trasparenza che tutelano non solo la posizione del condominio inteso come “ente di gestione”, quella dei singoli condomini e dei terzi ma anche della stessa amministrazione obbligata ad operare secondo parametri unitari di efficiente amministrazione.
Queste disposizioni rendono quindi più difficile –ma non escludono – la possibilità pratica che l’amministratore si appropri di denaro appartenente ai condomini o al condominio o destini tale denaro ad altri scopi. Così risponderà di tale reato l’amministratore di condominio, tenuto ai sensi dell’art. 1130 n. 4 c.c. a riscuotere i contributi ed erogare le spese occorrenti per la manutenzione ordinaria delle parti comuni dell'edificio e per l'esercizio dei servizi comuni, nel caso in cui si verifichi un ammanco di cassa, anche di esigua entità, (Cass. pen., 11 aprile 2012 n. 36022 ) o nel caso in cui le risorse patrimoniali non vengano utilizzate per le finalità tipiche della realtà organizzativa condominiale. Ciò avviene nel caso di mancato versamento degli oneri contributivi condominiali quando essi vengano utilizzati, attraverso l’appropriazione, per finalità estranee alla gestione ed amministrazione della cosa comune.
Quanto alle forme di manifestazione del delitto, si può osservare, come alla forma “semplice”, sanzionata con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino ad euro 1.032,00, possano affiancarsi ipotesi sia aggravate che attenuate.
Le ipotesi concernenti le aggravanti comuni di più frequente rilievo applicativo, determinanti un aumento di pena edittale fino ad un terzo, sono quelle previste dall’art. 61 ai numeri 7 e 11 c. p. La prima di esse si identifica nell’aver cagionato alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di rilevante entità (Trib. Roma, 4 giugno 2004 n. 12910) mentre la seconda concerne un fatto di appropriazione indebita commesso con abuso di prestazione d’opera. (Cass. pen., 6 dicembre 2005, n. 3462 ).
Quanto alle circostanze attenuanti, ricordiamo quella relativa al danno o lucro di speciale tenuità, e quella consistente nell’avere, prima del giudizio, riparato interamente il danno mediante il risarcimento di esso e, quando sia possibile, mediante le restituzioni, o nell’essersi spontaneamente ed efficacemente adoperato per elidere o attenuare le conseguenze dannose del reato. L’appropriazione indebita è perseguibile a querela di parte nella forma semplice e di ufficio nella forma aggravata di cui all’art. 61 n. 11. Per esso è previsto l’arresto facoltativo in flagranza e la comminatoria di misure coercitive ed è assoggettato alla competenza del tribunale monocratico.
Casistica in tema omessa restituzione dei rendiconti contabili
a) Appropriazione indebita (art. 646 c.p)
Precisiamo che la fattispecie di appropriazione indebita può assumere rilevanza anche con riferimento alla violazione dell’obbligo di consegna o restituzione della documentazione contabile e non solo con l’appropriazione di somme di danaro. In proposito ricorre l’art. 1129 c.c.: “alla cessazione dell’incarico l’amministratore è tenuto alla consegna di tutta la documentazione in suo possesso afferente al condominio e ai singoli condomini”. Pertanto integrerà il reato di appropriazione indebita la condotta dell’amministratore che rifiuti o ritardi la consegna della documentazione allorquando tale condotta sia finalizzata al conseguimento di profitto ingiusto.
Infatti la recente giurisprudenza della Cassazione (Cass. pen., sentenza 10 luglio 2013, n. 2951), ha ritenuto rilevante penalmente la condotta appropriativa, posta in essere da un amministratore di condominio, dopo che gli era stato notificato un atto di precetto, contenente l’intimazione di eseguire un ordine di consegna della documentazione contabile inerente all’ente amministrato. Nello specifico, l’indebita appropriazione era avvenuta trattenendo e volontariamente negando la restituzione della predetta documentazione, pur nella consapevolezza di non aver più titolo per continuare ad averne il possesso, essendo intervenuta la revoca dell’amministratore, e così essendosi verificata la interversione del possesso. Infatti il momento consumativo del reato di cui all'art. 646 c.p. non equivale necessariamente a quello della scadenza del termine stabilito per la restituzione, atteso che la mancata restituzione colposa non integra gli estremi del reato, né con quello dell'alienazione della cosa da parte del possessore, che può essere preceduta dall'interversione.La consumazione del reato sussiste invece – come nel caso di specie – al momento del rifiuto ingiustificato della restituzione della cosa dopo la scadenza del termine che ne legittima il possesso: tale condotta rende manifesta l'esistenza sia dell'elemento oggettivo, per il venir meno della legittimità del possesso, sia di quello soggettivo, evidenziando la volontà del possessore di invertire il titolo del possesso per trarre dalla cosa stessa un ingiusto profitto. E’ in tale momento che il reato deve ritenersi integrato in tutti i suoi elementi.Nello specifico, la Suprema Corte ha ritenuto che la condotta dell’amministratore di condominio comprovasse la volontà di non restituire le cose di cui aveva il possesso, e dunque è stata ritenuta necessaria e sufficiente a configurare il reato de quo (Cass. pen. sez. II, 10 luglio 2013 n. 29541).
b) Mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice (art. 388 c.p.)
Anche altra recente sentenza della Cassazione (Cass. pen., 16 luglio 2014 n. 31192) ha ritenuto penalmente responsabile l’amministratore di condominio che, a incarico finito, nonostante l’ordine in tal senso del Tribunale, non aveva consegnato al nuovo amministratore i conti e le carte condominiali. Il caso riguarda un amministratore di condominio, condannato in primo grado ed in appello per essersi rifiutato di restituire i documenti contabili inerenti all'amministrazione di un condominio, si rivolgeva in Cassazione per ottenere l'assoluzione dai reati addebitatigli: il ricorso è stato però respinto e l'amministratore condannato anche alle spese processuali dalla Seconda Sezione Penale che, ha infatti confermato la sua responsabilità per entrambi i reati contestati, ossia appropriazione indebita aggravata (artt. 646 e 61 n. 7 c.p.) e mancata esecuzione di un provvedimento giurisdizionale (art. 388 comma 2 c.p.). il reato di appropriazione indebita, si configura poiché la mancata restituzione dei documenti relativi all'amministrazione di un condominio, come più volte ricordato dai Giudici di Legittimità (su tutte Cass. Pen., Sez. II, sentenza 10 luglio 2013, n. 29451 e Cass. Pen., Sez. V, sentenza 18 ottobre 2012, n. 40906), integra appunto gli estremi di tale reato, per di più nella forma aggravata di cui all'art. 61 c.p., perché commessa con “abuso di relazioni originate da prestazione d'opera” (Cass. Pen., Sez. VI, sentenza 5 ottobre 2011, n. 36022).
Nel caso appena descritto, al reato di cui all'art. 646 c. p. si cumula quello previsto dall'art. 388 comma 2 c.p.. Ed invero, laddove alla mancata restituzione dei documenti segua (insieme o in alternativa ad una denuncia per appropriazione indebita) un ricorso al Giudice Civile in via d'urgenza per ottenere un provvedimento che imponga all'ex amministratore di riconsegnare i documenti in suo possesso, la disubbidienza a tale provvedimento costituirà un reato autonomo che si aggiungerà a quello già commesso di appropriazione indebita.
La Cassazione, infatti, ribadendo un orientamento costante e risalente sino al 1987 (Cass. Pen., Sez. VI, sentenza 8 ottobre 1987, n. 2908), ha ricordato come “rientrano tra i provvedimenti cautelari del giudice civile la cui dolosa inottemperanza dà luogo a responsabilità penale tutti i provvedimenti cautelari previsti nel libro IV del codice di procedura civile, e quindi non soltanto quelli tipici, ma anche quello atipico adottato ex art. 700 c.p.c. (Cass. Pen., Sez. II, sentenza 16 luglio 2014, n. 31192).
Disobbedire ad un provvedimento giurisdizionale è un reato, quindi, ma solo quando la mancata esecuzione spontanea renda ineseguibile quel provvedimento come nel caso di specie, dal momento che l'obbligo di restituzione dei documenti non poteva essere diversamente eseguito, neppure coattivamente, senza la spontanea collaborazione dell'ex amministratore (Cass. Pen., SS.UU., sent. 27 settembre 2007, n. 36692).
Inoltre, affinché la mancata esecuzione al provvedimento del Giudice Civile costituisca il reato di cui all'art. 388 co. 2 c. p. è infine necessario che il ricorso civile miri a tutelare la proprietà o il possesso o, ancora, il credito: i documenti, quindi, di cui si chiede la restituzione devono essere necessari alla tutela di uno di questi tre diritti. In proposito la Cassazione ha ritenuto “pacifico che l'ordine (non osservato) di consegna della documentazione contabile inerente all'amministrazione di un condominio incide sulla proprietà condominiale, impedendone la corretta amministrazione” (Cass. Pen. Sez. II, sentenza 16 luglio 2014, n. 31192).
È cioè impossibile amministrare correttamente un complesso condominiale (e quindi occuparsi della sua proprietà) senza i documenti contabili inerenti la sua precedente gestione per cui la mancata restituzione di tali documenti, nonostante sia stata disposta in via d'urgenza dal giudice cautelare, integra gli estremi del reato di cui all'art. 388 co. 2 c.p. la mancata restituzione è “sintomatica del fatto che egli abbia un preciso interesse a non consentire una ricostruzione della sua gestione patrimoniale”.
c) Truffa aggravata ai sensi dell’art. 61 n. 11 (art. 640 c.p.)
infine, in tema di mancata restituzione della documentazione contabile, recente giurisprudenza di merito (Tribunale di Firenze, Giudice monocratico, - sentenza depositata il 30 marzo 2000) ha ravvisato il reato di truffa nella condotta dell’amministratore di condominio per aver posto in essere artifici e raggiri consistenti nella falsa redazione del rendiconto, per farsi versare somme da parte dei condomini tratti in inganno.
Precisiamo che il rendiconto deve enumerare la quantità delle somme percepite dall'amministratore (voci di entrata, cioè le quote dei singoli condomini), la causale e la quantità delle spese fatte, accompagnate dai corrispondenti documenti giustificativi, in modo da rendere intellegibile all'assemblea l'andamento della gestione. Ne deriva che se il rendiconto presentato in assemblea non corrisponde allo scopo, l'approvazione assembleare si forma in maniera viziata, con la conseguente possibilità di azione giudiziaria ex art. 1137 c.c., se il termine non è spirato, ovvero, nella sede penale, di punire la truffa quando alla violazione dell'obbligo sia derivata la disposizione patrimoniale da parte del deceptus e l'ingiusto profitto per la gente. Una volta sopravvenuta l'approvazione del rendiconto e spirato il termine per l'impugnativa, l'apparenza, creata dal rendiconto falso si è tramutata in realtà immodificabile. La violazione del dovere giuridico realizza altresì l'aggravante di cui all'art. 61 n. 11 c.p. conseguente all'abuso del rapporto giuridico professionale ed al tradimento della fiducia riposta nell'amministratore dai condomini.
Qualora nei rendiconti e nei documenti contabili del condominio vengano inseriti dati attivi o passivi falsi, a prescindere dal perfezionarsi della truffa, in caso di induzione in errore dei condomini, si ravvisa il reato comune di falso in scrittura privata (art. 485 c.p.) e non di false comunicazioni sociali puniti dagli art. 2621 e 2622 c.c., non costituendo il condominio una società commerciale ma un mero ente di gestione.